(foto Ansa)

La pandemia e la svolta tra privati e pubblico sulla salute

Mariarosaria Marchesano

"I player assicurativi devono superare la logica del rimborso ex post delle spese sanitarie e investire nel lungo termine per promuovere prevenzione e protezione direttamente sul territorio", ci dice Carloalbero Crippa (Cattolica)

Da quando è scoppiata la pandemia la salute è stabilmente in cima alle preoccupazioni degli italiani, mentre in anni recenti si alternava con i timori per la perdita del lavoro e per l’incertezza economica. Insomma, siamo tutti più insicuri e la conseguenza, di cui si parla poco, è che questa condizione rischia di gravare sul bilancio delle famiglie. Nel nostro paese, infatti, la spesa sanitaria cosiddetta “out of pocket”, cioè i costi sostenuti direttamente per visite mediche, farmaci e terapie, è pari al 23 per cento contro una media europea del 16 per cento, secondo gli ultimi dati dell’Ocse. Tale spesa, che nel 2018 era pari a circa 33 miliardi, potrebbe arrivare a 52 miliardi nel 2025 anche come effetto di una maggiore richiesta di prevenzione. Secondo una recente ricerca di Deloitte, l’emergenza sanitaria ha cambiato in modo sostanziale le abitudini dei consumatori italiani nel campo della salute e benessere facendo emergere, rispetto al periodo pre Covid, una crescente attenzione alla corretta alimentazione ma soprattutto all’accessibilità delle cure mediche (priorità indicata dal 65 per cento del campione esaminato nell’ambito di una ricerca demoscopica condotta da Deloitte). E i nuovi comportamenti diventeranno un “next normal” da cui non si potrà tornare indietro. Ma come si fa ad assicurare un facile e generalizzato accesso alle cure, soprattutto se preventive, senza che questo si trasformi in un aumento della spesa sanitaria delle famiglie?

 

La soluzione potrebbe essere una maggiore collaborazione tra pubblico e privato poiché proprio la crisi Covid sta aprendo le porte a una valutazione nuova e più profonda su come il settore assicurativo possa supportare il sistema sanitario nazionale. Esempi di collaborazione in questo senso ce ne sono già in Italia come dimostra l’esperienza del gruppo Cattolica, che si è alleata con la Confederazione dei distretti sanitari della Regione Veneto e con altre aziende sanitarie, medici di famiglia e attori istituzionali in altre aree del paese proprio per cercare di costruire una formula ibrida di assistenza con un approccio che si potrebbe definire “mass market”. Carloalberto Crippa, direttore Business Development e Marketing di Cattolica, spiega al Foglio che è arrivato il momento di creare “un fronte comune” tra pubblico e privato. “I player assicurativi devono superare la logica del rimborso ex post delle spese sanitarie e investire nel lungo termine per promuovere prevenzione e protezione direttamente sul territorio, cominciando con l’aiutare l’utenza a orientarsi correttamente nell’ecosistema salute, per esempio pianificando check up e screening in base all’età e alle condizioni soggettive e promuovendo il miglioramento dello stile di vita tramite l’alimentazione e l’attività fisica – dice Crippa – Questo è possibile se si crea un’alleanza anche con strutture pubbliche come stiamo cercando di fare noi con progetti sperimentali di collaborazione sia a livello di distretti sanitari che di aziende sanitarie locali e medici di famiglia”. In effetti, migliorare l’accesso alle cure mediche sarebbe coerente con una sanità più solidale rispetto alla situazione attuale che vede l’utenza divisa tra chi possiede polizze integrative (nella gran parte aziendali) e chi invece si rivolge al sistema sanitario nazionale con tempi di attesa anche molto lunghi. Proprio questa polarizzazione dell’assistenza ha creato nel tempo lo squilibrio della spesa “out of pocket” degli italiani rispetto agli altri cittadini europei. Quando, infatti, i tempi di attesa si dilatano troppo si cerca autonomamente una visita specialistica privata, a scapito di altri consumi. Ma quanto è economicamente sostenibile un approccio mass market dei servizi sanitari più rapidi ed efficienti? “Lo è senza dubbio – prosegue Crippa – se pubblico e privato si alleano e se si diffonde la consapevolezza che i costi di una polizza sanitaria, anche con una copertura ampia e un percorso di prevenzione personalizzato, risulta più contenuto di quanto si possa pensare. I dati dicono che gli italiani hanno aumentato le riserve di liquidità sui conti correnti proprio per effetto dell’incertezza generata dalla pandemia. Ebbene, la protezione della salute, ma anche da altri eventi imprevisti come ad esempio i danni all’abitazione, costa meno che tenere risparmi improduttivi”. 

 

In questa nuova prospettiva riveste un ruolo di primo piano l’innovazione. Tra i nuovi comportamenti che ha fatto emergere la pandemia c’è il crescente ricorso alla telemedicina con la casa che si è trasformata nella prima frontiera della prevenzione. E’ una tendenza destinata a durare? “Pensiamo proprio di sì – dice Crippa – E i consulti via video possono essere un valido supporto per rispondere alla domanda di un miglior accesso alle cure, con ottime prospettive di applicazione sia come momento di primo consiglio e diagnosi che per la gestione di visite di controllo ricorrenti”. 

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