Il Foglio Salute

Occuparsi delle persone fragili al tempo del distanziamento

Caterina Somma

La pandemia ha peggiorato i problemi sociali già esistenti. Il lavoro fondamentale degli assistenti sociali oggi

Come noto, la pandemia da Covid-19 ha messo a dura prova tutta la popolazione mondiale, ma a pagare il conto più alto sono state le persone che già si trovavano in condizioni di difficoltà, economica o sociale. Sin dall’inizio della pandemia, gli operatori sociali hanno gettato il cuore oltre l’ostacolo e hanno lavorato per garantire i servizi di assistenza ai soggetti più fragili della società. Abbiamo parlato di questo e delle prossime sfide nel sociale con Gianmario Gazzi, presidente del Consiglio dell’ordine degli assistenti sociali (Cnoas).

 

Come avete svolto il vostro lavoro nell’ultimo anno?
Ormai è più di un anno che sentiamo parlare di distanziamento “sociale” che in realtà non è tale, ma soltanto “fisico”. I due concetti non vanno confusi: il distanziamento tra le persone non può essere sociale. Anzi, durante la pandemia, è stato ancora più importante occuparsi delle persone fragili ed è ciò che gli assistenti sociali hanno fatto, lavorando per dare continuità ai servizi di assistenza, pur con risorse scarse e con grandi difficoltà organizzative dovute anche al lavoro da remoto. Con il c.d. Decreto Rilancio siamo riusciti a far scrivere in norma che i servizi sociali definiti dalla Legge n. 328/2000, poiché volti a garantire il godimento di diritti costituzionalmente garantiti, non potevano essere interrotti in fase emergenziale.

 

Quanto il distanziamento fisico ha impattato negativamente a livello sociale?
La pandemia ha peggiorato i problemi sociali già esistenti. Non solo la popolazione è stata costretta all’isolamento e al distanziamento forzato ma, in svariate zone dell’Italia, vi è stata discontinuità nelle cure, sono arrivati pochi sostegni e tante donne hanno perso il lavoro, lo dice l’Istat. I giovani sono stati chiusi in casa costretti alla Dad (ndr. Didattica a distanza) e, se già vivevano in situazioni familiari complicate, i loro disagi sono solo peggiorati. Quindi, il quadro sociale è molto critico e c’è una forte tensione collettiva legata anche alla crisi economica. Poi, un conto è vivere in Emilia Romagna, dove è presente un assistente sociale ogni 3.000 abitanti, un altro conto è vivere in Campania, con un rapporto di uno ogni 40.000.

 

Cosa bisognerebbe fare per colmare il divario nord / sud?
Si tratta di un tema caldo, sono felice che molti ministri dell’attuale governo abbiano ritenuto necessario definire i livelli essenziali. Il servizio di assistenza sociale era già stato ritenuto tale nel 2000, ma solo la Legge di Bilancio 2020 ha introdotto un livello essenziale delle prestazioni di assistenza sociale, prevedendo un operatore ogni 5.000 abitanti. Siamo ancora all’inizio e ci sono dei fondi, i ministri Orlando e Carfagna hanno comunicato di voler lavorare insieme per colmare il divario esistente tra nord e sud, ma ci sono delle difficoltà legate anche al dissesto finanziario di alcuni Comuni che non sono attualmente in grado di assumere nuove risorse.

 

Soddisfatto dei fondi stanziati per i servizi di assistenza sociale?
Nel Pnrr (ndr. Piano nazionale di ripresa e resilienza) ci sono alcuni elementi positivi ed altri che, invece, ci lasciano perplessi. Sono stati previsti dei fondi per accompagnare questa trasformazione sociale ma quella spesa dovrà poi diventare sostenibile da parte dello Stato, non avremo per sempre il finanziamento europeo per questo. Troviamo positivo che si voglia investire su temi che da sempre abbiamo sollevato quale, ad esempio, l’ampliamento del numero degli assistenti sociali sul territorio, e siamo contenti che siano stati recepiti. Abbiamo però dubbi su come verranno poi realizzati questi obiettivi, soprattutto in termini organizzativi e di sostenibilità.

 

Quali sono le aspettative per i prossimi mesi?
Da un punto di vista sociale ci sarà sicuramente una ripresa, ma sarà necessario un accompagnamento delle persone più fragili da parte degli assistenti sociali e di tutta la rete dei servizi, affinché queste persone possano rientrare in un mondo che è cambiato. Spero che da questa vicenda si impari a lavorare con sistemi integrati. Ad esempio, in questi mesi abbiamo visto la sanità e il sociale andare ognuno per conto proprio, non c’era continuità nelle cure dentro e fuori dall’ospedale e questo è un sistema complessivamente inefficiente. Inoltre, bisogna investire sull’occupazione femminile e nei servizi educativi nonché in quelli di assistenza ad anziani e disabili affinché la gestione di questi soggetti non ricada esclusivamente sulle donne, come spesso invece accade: questo vuol dire fare un investimento con e per le donne.

 

E’ un lavoro molto appagante da un punto di vista umano. Perché lo ha scelto?
Gli assistenti sociali fanno un lavoro che tutela i diritti delle persone più fragili e in difficoltà, di chi viene messo ai margini della società. Non abbiamo una missione da compiere ma la volontà di mettere a disposizione competenze professionali, conoscenze e formazione di livello per garantire alle persone una vita migliore. Io ho scelto questo lavoro perché sento, come tanti colleghi, che si debba lavorare per una società più giusta e inclusiva.

 

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