Non basta il brevetto

Luciano Capone

Produrre vaccini è difficile anche per chi li ha inventati. I casi AstraZeneca e Sputnik

A differenza di ciò che sostengono in tanti, in particolare chi pensa alla sospensione dei brevetti come a una panacea contro la sottoproduzione, produrre vaccini non è facile. Non è semplice in generale, e proprio per questo il mercato è concentrato in pochi grandi produttori globali, e non lo è a maggior ragione nel caso dei vaccini anti-Covid che non esistevano fino a pochi mesi fa. Quanto sia complicato lo dimostrano le difficoltà industriali di Sputnik V e AstraZeneca.

 

Il vaccino russo si è reso protagonista da una campagna di comunicazione, soprattutto sui social network, molto efficace. Ma ai risultati della propaganda non corrispondono quelli industriali. La Russia ha un enorme problema a far scalare la produzione. Come ha ricordato sul Foglio Micol Flammini, riprendendo un’inchiesta di Reuters, il fondo sovrano russo Rdif ha cercato di riconvertire vecchi stabilimenti sovietici, ma non ha attrezzature, macchinari e personale specializzato a sufficienza. A marzo, Vladimir Putin aveva annunciato di aver firmato contratti per esportare 700 milioni di dosi di Sputnik V nel mondo, ma secondo i calcoli fatti da Reuters a maggio erano state prodotte appena 33 milioni di dosi. Un dato coerente con le stime della società specializzata Airfinity, secondo cui a marzo la Russia aveva prodotto appena 10 milioni di dosi. Il Cremlino sta stringendo accordi di produzione su licenza in ogni angolo del mondo, ma al momento non si vedono gli effetti perché l’adeguamento degli impianti e il trasferimento tecnologico sono operazioni complesse. L’unico lato positivo, se così si può dire, per il fondo sovrano Rdif è che i russi sono molto scettici sul vaccino: solo il 10 per cento della popolazione si è vaccinata, meno di un terzo rispetto all’Italia, e una larga parte non intende farlo. Questo vuol dire che le dosi di Sputnik V rifiutate in patria possono essere esportate.

 

Anche AstraZeneca, come è noto, ha avuto un enorme problema con la produzione. La resa dei bioreattori degli stabilimenti europei è stata molto più bassa del previsto, e così l’azienda anglo-svedese non è stata in grado di rispettare le consegne pattuite con l’Ue: l’impegno era di fornire 300 milioni di dosi entro il primo semestre 2021, ma a fine di marzo erano state consegnate appena 30 milioni di dosi (su 120 milioni previsti); ed entro giugno si prevede l’arrivo di solo 70 milioni di dosi (sulle rimanenti 180 milioni). In totale 100 milioni anziché 300. I ritardi hanno spinto l’Ue a non rinnovare il contratto con AstraZeneca e fare causa all’azienda farmaceutica per il mancato rispetto dei termini contrattuali.

 

Questi due casi dimostrano come la sottoproduzione non dipenda tanto da un’ipotetica restrizione dell’offerta dovuta ai brevetti, ma proprio dalla difficoltà mettere in piedi nuove linee produttive di vaccini. Come è evidente, sia Sputnik V sia AstraZeneca hanno tutto l’interesse ad aumentare la produzione per poter soddisfare i contratti già firmati e quelli da siglare. La Russia farebbe più profitti e accrescerebbe il soft power del Cremlino, mentre AstraZeneca, che non fa profitti sul vaccino, eviterebbe danni d’immagine e di perdere soldi nelle cause con l’Europa. Se fosse stato così facile produrre più vaccini l’avrebbero già fatto con accordi di licenza, perché è nel loro interesse. Ma purtroppo non è così. E se produrre un vaccino è complicato per chi l’ha inventato e sviluppato, è difficile pensare riesca a farlo chiunque una volta sospeso il brevetto.

 

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali