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cattivi scienziati

I segreti di Lancet

Enrico Bucci

Le critiche della comunità scientifica a Sputnik derubricate a “errori di battitura”. Ormai è chiaro che il problema non è il vaccino dei russi, ma la credibilità della rivista scientifica

È stata per me una giornata un po’ speciale, quella trascorsa ieri. Sul British Medical Journal, la copertina è occupata dal titolo della storia principale, titolo che suona pressappoco “il curioso sorgere dello Sputnik V”. All’interno si trovano due articoli che evidenziano non solo le carenze degli studi presentati, ma soprattutto il ruolo della rivista Lancet nella pubblicazione di tali studi. Il ruolo di questa prestigiosa rivista nella promozione del vaccino Sputnik V viene definito da Chris van Tulleken, professore onorario presso lo University College di Londra, come quello di una “cheerleader”.

 


Allo stesso tempo sulle pagine di Lancet è comparsa una lettera, firmata da me e da altri otto ricercatori internazionali, che evidenzia una serie di notevoli anomalie nella pubblicazione dello studio di fase 3 del vaccino in quella rivista, tra cui la “scomparsa” di quasi 14.000 volontari nel corso dello studio, anomalie numeriche, risultati di efficacia che violano le leggi della statistica e altre incongruenze; il tutto, ovviamente, in assenza della possibilità di avere accesso ai dati necessari per il controllo, dati che continuano pervicacemente a essere negati.


La risposta dei ricercatori russi, che come è suo uso Lancet ha affiancato alla nostra lettera, è peculiare: innanzitutto, degli oltre 30 firmatari del lavoro originale, firmano solo in tre, e fra questi manca il direttore del Gamaleya, prof. Alexander Gintsburg. Oltre a questo, in sostanza si ammettono molte delle contestazioni, giustificandole come “errori di battitura” (per quel che riguarda le discrepanze numeriche più grosse), o non giustificandole affatto, come nel caso dell’eliminazione dallo studio dei volontari, operazione per la quale si dice solo che si sono seguite le procedure – ma quali?

 


Ora, io voglio essere ben chiaro su un punto: come ho detto e ripetuto fin dal primo giorno in cui ho scritto di Sputnik, mi aspetto che questo vaccino funzioni, e che funzioni almeno tanto bene quanto una delle sue componenti, sostanzialmente identica al vaccino di Johnson & Johnson. La stessa concezione del vaccino, con una formulazione basata su due diversi coronavirus, è certamente una buona idea – anche in questo caso sono d’accordo con i suoi inventori. Penso anche che questo vaccino, ove fosse prodotto in quantità sufficiente e fornito a costi ragionevoli, potrebbe essere utilissimo in moltissimi paesi.

 


Tuttavia, il mio pensiero, da solo, è solo un giudizio informato; non vale nulla come prova fino a che non siano messi a disposizione fatti che permettano di decidere, e lo stesso può dirsi di quello dei fan di Sputnik V. Questi fatti possono essere presentati e analizzati solo in forme ben determinate, che sono quelle degli standard e del metodo scientifico; e devono essere disponibili per la verifica in qualunque momento.

  
La critica che io e tanti altri rivolgiamo, quindi, non è al vaccino in sé; ciò che è certamente falso, difatti, non sono i benefici del vaccino – che anzi ci aspettiamo siano reali – ma la sbandierata supposta superiorità della comunità scientifica russa, che ha preteso di dichiarare di avere raggiunto un risultato prima degli altri, senza fornire evidenze solide in supporto e pretendendo che dovessero bastare le parole di propaganda e qualche figura pubblicate su riviste prestigiose. E la critica ancora più importante è quella rivolta dal British Medical Journal a Lancet: qual è il ruolo di quest’ultima rivista nel promuovere ripetutamente un vaccino, senza mettere a disposizione della comunità i dati necessari semplicemente a ricalcolare i risultati presentati? Quale interesse vi è a pubblicare due lavori, oggetto di lettere di critica un po’ ovunque, senza prestare la giusta attenzione durante la revisione, tanto da dovere poi correggere finora tre volte gli evidenti errori presenti – quelli che i russi chiamano “di battitura” – senza comunque costringere i diretti interessati a tirare fuori i dati, e scrivendo anzi editoriali di elogio di quanto pubblicato? Perché se dovessero emergere conflitti di interesse, una cosa è chiara: il problema non è il vaccino dei russi, di cui tra poco conosceremo meglio le proprietà grazie ai dati che arriveranno da esperienze d’uso internazionali, ma la credibilità di Lancet.

 

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