Sebastian Gollnow/dpa via AP

Cattivi scienziati

Aspettando CureVac

Enrico Bucci

L’Ema potrebbe dargli presto il via libera. Ecco cosa sappiamo dell’efficacia di questo vaccino

Una quindicina di anni fa, Bill Gates si accordò con un imprenditore tedesco, Ingmar Hoerr, per finanziare quella che gli fu presentata come la futura rivoluzione del settore farmaceutico. Era nata CureVac, azienda dedicata allo sviluppo di farmaci basati su Rna; e quando, all’inizio del 2020, il coronavirus colpì l’Europa, questa azienda, grazie alla sua esperienza, ai suoi brevetti e alla sua tecnologia, sembrava la meglio posizionata per produrre, entro l’autunno si diceva, un nuovo tipo di vaccini, basato su Rna. Ad arrivare sul mercato, però, furono la conterranea BioNTech (con la Pfizer) e l’americana Moderna. E queste sono le aziende che il pubblico ha imparato a conoscere come quelle dei vaccini a Rna, nonostante l’Europa abbia firmato, come con i suoi concorrenti, anche con CureVac un accordo per una grossa fornitura.

 

Ma cosa è successo? Forse molti ricorderanno la storia di Trump che voleva comprare l’azienda tedesca, in nome del principio “America first”. Era una balla montata dai media, che ingigantirono la presenza di un’azienda tedesca a un incontro fra l’allora presidente e alcune aziende farmaceutiche, tra cui una tedesca, immaginando che fosse la CureVac (che ha una sede a Boston). A seguito di questa storia, smentita sia dall’azienda sia dal Campidoglio, il ceo di CureVac in America si dimise, avendo forse avuto un ruolo nelle voci. Il fondatore Hoerr fu costretto a riprendere le redini. Tuttavia, poco dopo ebbe un ictus; e così, durante il suo lento recupero fino a oggi, l’azienda è rimasta in sostanza nelle mani del board e degli investitori, ma senza la visione di una direzione esecutiva.

 

Forse anche per questo la CureVac ha rallentato e non abbiamo avuto poi molti comunicati stampa, né abbiamo saputo molto di questa azienda. Visto che però l’Ema ha cominciato la revisione dei dati di fase 3 del suo vaccino e visto che se darà parere positivo arriverà fino a noi, forse è il momento di mettere in fila quel po’ di cose che sappiamo.

 

Il vaccino è basato sulla tecnologia proprietaria RnActive: in breve, un Rna messaggero codificante per la proteina Spike (con la solita mutazione stabilizzante la conformazione di prefusione, come nel caso di Moderna e BioNTech) è modificato cambiandone la sequenza, senza cambiare però quella della proteina e utilizzando solo nucleotidi naturali, non modificati chimicamente (come nel caso dei concorrenti). Questa modifica consente, da quanto pubblicato in precedenza, di innalzare di 4-5 volte la produzione di proteina Spike. Inoltre, l’Rna è legato a piccole proteine molto basiche, le protamine, che ne aumentano la stabilità e contemporaneamente l’immunogenicità. Il tutto è incapsulato in un liposoma, come nel caso dei concorrenti; anzi, come per BioNTech, composizione e tecnologia per il liposoma sono state studiate con l’azienda Acuitas. Cosa sappiamo del funzionamento di questo vaccino? Dobbiamo per ora basarci su preprint. Nei primati non umani, il vaccino funziona bene e induce una buona risposta neutralizzante del virus (e i dati ad interim di fase 1, sempre in preprint, hanno confermato dopo due dosi a quattro settimane di distanza sia la sicurezza del prodotto – ma con un profilo molto peggiore che dei concorrenti, forse per le protammine – sia la risposta anticorpale indotta – ma non ai livelli osservati per Moderna e BioNTech). Almeno in animale, il vaccino sembra protettivo anche dalla variante sudafricana.

 

La cosa più interessante è che, in accordo con quanto dichiarato per la tecnologia RnActive, è stato possibile utilizzare nell’uomo una dose di Rna molto minore rispetto ai concorrenti, con ovvi vantaggi in termini di produzione. Per intenderci: per produrre un miliardo di dosi, servono 100 chili di mRna per Moderna, 30 per BioNTech e 12 per CureVac. Inoltre, CureVac sta sviluppando con Tesla anche una tecnologia (quella delle famose “stampanti a Rna”) che potrebbe consentire a ogni ospedale di produrre le sue dosi di vaccino on demand e di adattare la produzione a nuove varianti; per il momento, tuttavia, l’azienda si affida alla classica produzione industriale e ha siglato un patto con Bayer. Inoltre pare davvero (a sentire l’azienda) che l’effetto stabilizzante delle protammine sia notevole, perché il vaccino resiste tre mesi a temperatura di 5 gradi e 24 ore a temperatura ambiente, superando i grossi problemi creati dalla logistica del freddo osservati per i concorrenti.

 

Tiriamo le somme, molto provvisoriamente, da ciò che sappiamo dalle scarse fonti disponibili: abbiamo un vaccino che sembra efficace, anche se non come i suoi concorrenti diretti, è tuttavia molto reattogenico (in fase 1, al dosaggio identificato come efficace, ha causato effetti avversi in tutti i partecipanti, anche se risolti entro 72 ore). Dal punto di vista chimico-fisico è molto migliore di ogni altro vaccino a Rna: più stabile, più semplice a prodursi e ottenibile in quantità maggiori a parità di materiale. Nessuno però può sapere a questo stadio quali sono i dati più aggiornati e reali: solo l’Ema dispone di queste informazioni, ed è il suo giudizio che dobbiamo come sempre attendere.

 

Di più su questi argomenti: