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cattivi scienziati

In Israele il vaccino Pfizer tiene a bada anche la variante inglese

Enrico Bucci

Non si possono ancora trarre conclusioni epidemiologiche chiare. Tuttavia, abbiamo per la prima volta uno studio molto solido, con tutti i dati necessari a ripetere le analisi accessibili e che mostra un forte effetto sulla trasmissibilità del virus da parte di uno dei vaccini disponibili

Quel grande laboratorio di vaccinologia ed epidemiologia che è lo stato di Israele sta continuando a fornire dati interessantissimi e molto utili. Uno studio appena pubblicato su Lancet riporta che dopo aver vaccinato con il vaccino Pfizer/BioNtech 9.109 dipendenti del più grande ospedale israeliano, lo Sheba Medical Center, nel periodo compreso tra i 15 e i 28 giorni dopo la prima dose si sono osservate una diminuzione del 75 per cento delle infezioni e dell’85 per cento dei casi di infezione sintomatica. Ricordiamo che dopo la seconda dose, la malattia sintomatica è riportata in calo di un ulteriore 10 per cento, arrivando a una diminuzione del 95 per cento.  

 

Un secondo studio non ancora sottoposto a peer-review, condotto dal ministero della Salute israeliano e dalla Pfizer, riportato dai siti di informazione israeliani come fondato sui database elettronici dei cittadini di quel paese che avevano ricevuto entrambe le dosi fra il 17 gennaio ed il 6 febbraio, mostrano una riduzione complessiva dopo il completamento della vaccinazione pari rispettivamente all’89,4 per cento e al 93,7 per cento per le infezioni e per i casi sintomatici. Per quanto riguarda lo studio pubblicato su Lancet vi sono dei caveat: i soggetti considerati sono mediamente più giovani della popolazione nel suo complesso e in secondo luogo, trattandosi di un ambiente ospedaliero, le precauzioni contro le infezioni sono più alte che nella media, il che rende difficile il paragone con i dati ricavati dal complesso della popolazione non vaccinata. Pur trattandosi di migliaia di persone il numero di casi verificatisi è piccolo, così che il potere statistico di questo studio osservazionale è basso.

  

Per questo, Eran Kopel, epidemiologo dell’Università di Tel Aviv, ha dichiarato che non si possono ancora trarre conclusioni epidemiologiche chiare, né stime che abbiano senso circa l’efficacia di una sola dose di vaccino o di un ritardo prolungato tra la prima e la seconda dose. Questo perché i dati di osservazione dell’efficacia di una singola dose non vanno oltre i 28 giorni, limite entro cui i soggetti inclusi nello studio hanno comunque ricevuto la seconda dose. Tuttavia, abbiamo per la prima volta uno studio molto solido, con tutti i dati necessari a ripetere le analisi accessibili e che mostra un forte effetto sulla trasmissibilità del virus da parte di uno dei vaccini disponibili.

 

E’ un risultato che potrà certo essere ridimensionato guardando a popolazioni più ampie ed eterogenee, ma è improbabile che l’effetto svanisca o diventi poco significativo. Inoltre – e questa è davvero una buona notizia – questo forte declino di trasmissione del virus fra i vaccinati si osserva in un paese ove la variante inglese B.1.1.7 ha una circolazione sostenuta; dunque la vaccinazione rapida e massiccia riuscirà a contrastare anche questa variante come si era già intuito guardando ai dati pubblicati sulla capacità neutralizzante del siero dei vaccinati nei confronti del virus mutato. Non preoccupiamoci dell’arrivo delle varianti: preoccupiamoci invece di fare presto a vaccinare con i vaccini migliori la maggior parte della popolazione.
 

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