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cattivi scienziati

E' l'ora di mobilitarsi. Dire “vaccinatevi!” rischia di non bastare

Enrico Bucci

Si coinvolgano dei professionisti della comunicazione. L'impressione è che si dia troppo per scontato che le persone correranno a vaccinarsi

    Torna ad aumentare leggermente il numero dei contagiati da Covid-19: ieri sono stati 24.099, a fronte di 212.741 tamponi (15 mila in meno rispetto a ieri). I morti sono stati 814. Il numero di nuovi pazienti ricoverati in terapia intensiva scende di 30 unità.

      

    Costruire l’immunità di un’ampia porzione delle nostre comunità è uno dei migliori e più efficaci modi per tenere a bada patogeni pericolosi, incluso il Sars-CoV-2. Per ottenere questo risultato, tuttavia, non basta identificare uno o più vaccini funzionanti. Su queste pagine, insieme a Luciano Capone, abbiamo cercato già di fare vedere quale enorme compito si debba affrontare perché la logistica della gigantesca profilassi vaccinale di massa possa funzionare. Forse però è il caso di ricordare che vi è un terzo, importantissimo aspetto da curare, oltre alla ricerca clinica e al piano di approvvigionamento, distribuzione e iniezione di un vaccino efficace. Bisogna che le persone si mettano in coda per ricevere la loro dose di vaccino, almeno allo stesso modo in cui fanno la coda per acquistare l’ultimo modello di iPhone o davanti a un impianto di risalita (come accaduto a ottobre in molte località sciistiche italiane). Perché questo funzioni bisogna ascoltare chi ha studiato comunicazione e chi si occupa professionalmente della creazione del consenso pubblico in ambito sanitario: non si può né improvvisare, né pensare che le persone siano tutte pronte a vaccinarsi non appena questo sarà possibile, contando sulla loro paura di contrarre il Covid-19.

     

    L’impressione che un osservatore esterno al mondo della comunicazione professionale – come il sottoscritto ricava dalla lettura occasionale di alcune tra le migliaia di messaggi che mi sono arrivati in questi mesi – è che si dia troppo per scontato che le persone correranno a vaccinarsi. Le stesse domande che ricevo, inerenti per esempio alla novità della tecnologia utilizzata per i vaccini a Rna, la velocità con cui si stanno conducendo e valutando le sperimentazioni cliniche (velocità che in realtà passa spesso per fretta), i dubbi circa la reale esistenza di pericoli causati dal virus (espressi spesso in maniera vocalmente violenta) e una miriade di altre manifestazioni di una diffusa esitazione mi inducono a pensare che, forse proprio per reazione all’investimento emotivo e troppo precoce su un salvifico vaccino, gli oppositori alla vaccinazione stiano trovando terreno fertile e i dubbi stiano crescendo.

     

    Spero di sbagliarmi – cosa possibilissima visto che non sto riferendo di dubbi scientifici – nella mia impressione di una crescente esitazione nei confronti dei vaccini in arrivo; di certo, però, non mi pare che esista una comunicazione istituzionale stabile, incoraggiante e ispirata sulla massiccia operazione di Sanità pubblica che si prepara. Non basta ripetere (spesso incautamente) che il vaccino è in arrivo, o che il vaccino sarà la soluzione: la storia dei movimenti di opposizione alle vaccinazioni di massa, anche a quelle che hanno poi avuto grande successo, insegna che ci vuole ben altro per coinvolgere davvero la popolazione. Soprattutto, nel caso in cui anche solo una parte dei vaccini andasse sprecata, stante la loro sensibilità alle condizioni ambientali, per la semplice assenza dei candidati alla vaccinazione, sarebbe indispensabile essere sicuri di coinvolgere e chiamare all’appello tutti, muovendo corde che solo i comunicatori di professione conoscono: la comunicazione scientifica non basta, è ora che si chieda a dei professionisti come muovere lo spirito dei cittadini, perché insieme risolvano il più grande problema sociosanitario degli ultimi decenni.