Quarantena flessibile

Enrico Bucci

Il tampone per tornare alla “vita normale”. Ma si hanno molti esempi di cicli di positività e negatività oscillanti

 

Ieri il numero di nuovi contagi da Covid-19 in Italia è diminuito: sono stati 2.257 contro i 2.578 del giorno precedente, ma con 60.241 tamponi, oltre 32 mila in meno rispetto a domenica. Lieve diminuzione anche dei decessi, ieri 16 (contro i 18 del giorno precedente). In forte crescita i ricoveri: 200 in più (domenica l’incremento era stato pari a 82 casi), il cui totale sale così a 3.487. Le terapie intensive sono 20 in più, e sono 323 in tutto. In serata la ministra dell’Istruzione, Lucia Azzolina, ha diffuso i dati sulla situazione nelle scuole: gli studenti positivi sono 1.492 (lo 0,021 per cento); 349 i contagiati tra il personale docente, 116 tra il personale non docente.


  

Il test diagnostico con Pcr, il famoso tampone per determinare se un individuo è infetto dal virus, non serve solo a stabilire chi sia stato colpito dal virus, per indirizzarlo verso la quarantena e verso le cure più appropriate; in Italia, serve anche, è bene ricordarlo, a determinare quando un individuo possa tornare alla “vita normale”. L’assunto è che, in tutti i casi, chi mostri positività per Rna virale, sia ancora potenzialmente infettivo; e in una logica di “medicina difensiva”, la mera possibilità di essere ancora infettivi (al di là della reale probabilità) significa in sostanza l’esclusione dalla vita sociale e lavorativa a tempo indeterminato.

  

Perché a tempo indeterminato? Perché, come ci ricordano sia la letteratura scientifica sia i racconti di tanti, troppi cittadini, la positività del tampone può durare per mesi, e in più, poiché nel nostro paese è necessario un doppio esito negativo prima di essere rilasciati da una quarantena iniziata a seguito di positività al virus, si hanno molteplici esempi di cicli di positività e negatività oscillante, che prolungano ulteriormente la quarantena.

 

Ma è davvero necessaria la doppia negatività al tampone nasofaringeo per rilasciare un individuo dalla quarantena? Proviamo a esaminare i dati a disposizione per rispondere in modo razionale a questa domanda. Partiamo da un dato importante: perché si abbia infettività, possiamo assumere che nei campioni prelevati a un individuo attraverso tampone si riscontri virus vitale, cioè sia possibile coltivare il virus in laboratorio a partire da quei tamponi. Ora, come ho discusso altrove, i migliori studi di cui disponiamo indicano che a 15 giorni dall’inizio dei sintomi si ottiene virus coltivabile in casi solo molto sporadici, con una probabilità massima del 6,7 per cento dei casi. Supponiamo quindi di rilasciare chiunque abbia sperimentato il primo sintomo da oltre 15 giorni e non manifesti più malattia attiva, senza effettuare nessun test. Nel peggiore dei casi, otterremo circa sette individui ancora potenzialmente infettivi ogni 100. In realtà, non tutti questi individui genereranno focolai preoccupanti: la capacità di un individuo di trasmettere il virus a molti altri soggetti è infatti estremamente eterogenea, e sono gli eventi di superspreading a guidare l’epidemia. Le ragioni sono molte, dal tipo di vita condotto all’eterogeneità dei contatti sociali.  In ogni caso, possiamo assumere dalla letteratura che solo due infetti ogni 10 sono responsabili per il grosso della propagazione dell’epidemia. Questo significa che, mediamente, nel nostro esempio al massimo 1-2 individui sui 7 ancora infettivi potranno generare nuovi focolai.

 

Possiamo permetterci questo rischio massimo? Dipende. In condizioni come quelle attuali, possiamo fare due conti: considerando i circa 58.000 positivi attuali, nelle ipotesi fatte significa che se li rilasciassimo tutti senza test dopo 15 giorni dall’insorgenza dei sintomi potremmo avere un massimo di 778 individui capaci di generare nuovi focolai. Di questi, in realtà, solo il 10 per cento contagerà più di una persona; in sostanza, avremo quindi circa 78 nuovi focolai comprendenti più di un individuo, dato che è coerente anche con quanto trovato in un recente lavoro su Science.

 

A questo punto, è chiaro che in presenza di un sistema sanitario e di vigilanza tale da intercettare questi focolai sul nascere, possiamo decidere di correre il rischio. Rischio che potremmo decidere di non correre in una situazione diversa, per esempio con 10 volte più positivi (580.000); in questo caso, 780 nuovi focolai potrebbero essere troppi per poter rischiare. In questo caso, potremmo immaginare di allungare per esempio la quarantena a tre settimane; questo perché, a quel punto, la probabilità di recuperare virus coltivabile dagli individui infettati è sostanzialmente prossima allo zero.

 

Ecco: una politica flessibile di quarantena, che tenga conto dei numeri assoluti e dei rischi percentuali, e calibri la lunghezza della quarantena di conseguenza, è tutto quel che ci serve, per non consentire più la “prigionia” di persone lunga mesi, legata alla caratteristica lunga permanenza di Rna virale nei soggetti guariti.

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