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È ora di uno scudo penale per gli eroi della pandemia

Claudio Cerasa

Perché serve proteggere i medici dalla giustizia ingiusta e dalla Norimberga sanitaria

Li abbiamo descritti come i nostri eroi, come i nostri angeli della pandemia, e li abbiamo incoraggiati ogni giorno a non aver paura, facendo sentire loro il nostro affetto, la nostra vicinanza, la nostra gratitudine per quello che stavano facendo. Li abbiamo visti ogni giorno in prima linea, come si dice, e ci siamo commossi vedendo i loro volti distrutti, affaticati, provati, devastati, e abbiamo gioito quando i grandi giornali mondiali hanno scelto di mettere in copertina le loro facce, per celebrare il loro impegno, il loro coraggio, il loro lavoro. Li abbiamo descritti così, i nostri medici, nei mesi in cui la pandemia non ci dava tregua e nelle ore in cui il silenzio delle nostre città veniva interrotto solo dal ni-nò-ni-nò delle ambulanze, e fino a quando siamo stati noi ad aver bisogno di loro ci siamo emozionati con tutto il nostro cuore e le nostre lacrime ma ora che sono loro ad aver bisogno in un certo senso di noi è come se tutti ci fossimo improvvisamente distratti. E per capire cosa sta succedendo ai nostri medici, ai nostri eroi, ai nostri angeli della pandemia, è sufficiente sfogliare le pagine dei giornali locali, ascoltare i notiziari regionali e dare un’occhiata alle nostre bacheche su Facebook. E ciò che sta succedendo purtroppo è fin troppo chiaro e la ragione per cui in troppi scelgono di chiudere gli occhi di fronte a questo spettacolo è anche la ragione per cui in Italia non ci potrà mai essere nessun piano di rilancio senza rivoluzionare prima il nostro sistema giudiziario.

 

La storia che vi raccontiamo oggi è una storia che riguarda i nostri medici nella misura in cui in buona parte del paese i medici si ritrovano a fare i conti con un fenomeno che senza troppi giri di parole la principale sigla dei medici ospedalieri, la Anaao Assomed, ha definito come una potenziale “Norimberga sanitaria”. Il problema è evidente e purtroppo lineare ed è un problema con cui i medici devono fare i conti non solo durante le stagioni pandemiche.

L’Italia, come sappiamo, è uno dei pochi paesi in Europa, insieme con la Polonia, dove i medici possono essere perseguiti penalmente per colpa medica. Le denunce penali a carico dei medici che arrivano a giudizio sono il 5 per cento del totale (ogni anno si aprono in Italia 35 mila azioni legali contro medici e strutture sanitarie pubbliche) ma hanno un loro ricasco non indifferente e in un paese in cui la giustizia è lenta e in cui il processo che conta è quello che si celebra sui giornali non è difficile capire che lavorare avendo addosso una condanna per omicidio può essere un peso non indifferente. Ciò che sta accadendo in queste ore, in tutta Italia, dice il sindacato, è un’ondata di denunce e di procedimenti contro i medici intentate da famigliari che hanno visto i loro cari morire in ospedale per coronavirus. E la domanda che oggi si fanno giustamente i rappresentanti dei medici italiani è doppia: come è possibile che i medici possano essere denunciati penalmente per non essere riusciti a salvare tutti i pazienti che si sono presentati in ospedale e come è possibile che la politica non capisca che in un paese in cui la giustizia è lenta e il processo che conta è quello che si celebra sui giornali non si può non chiedere per i medici uno scudo penale che, a eccezion fatta per i casi relativi al dolo, “limiti per i medici e gli operatori sanitari la procedibilità in ambito penale, civile, amministrativo ed erariale, relativo al periodo emergenziale”?

 

Così come è comprensibile che gli investitori stranieri cerchino una qualche forma di protezione in un paese in cui sussiste una giustizia ideologica che alle prove provate preferisce i teoremi e la gogna (vedi l’Ilva di Taranto), allo stesso modo è comprensibile che i medici chiedano di non essere lasciati in pasto a una giustizia lenta e inefficiente e incapace per come organizzata di proteggere i suoi eroi della pandemia, che oggi rischiano di essere accusati di ciò di cui non possono essere responsabili: aver lavorato a lungo in uno stato di necessità, senza linee guida, o senza programmi terapeutici noti e approvati. Vale per i medici e vale più in generale per l’Italia: un paese che chiude gli occhi di fronte agli orrori della giustizia è un paese che fa di tutto non per proteggere i suoi cittadini ma al contrario per metterli in pericolo. Forse è ora di svegliarsi.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.