(foto LaPresse)

Chi c'è in prima linea a combattere le conseguenze psicologiche dell'epidemia

Marianna Rizzini

Prima la vita da reclusi, poi la riapertura, ma con regole di distanziamento: per qualcuno adeguarsi non è semplice. Viaggio tra i progetti che offrono assistenza psicologica

Roma. L'irrompere del virus, lo choc del lockdown, gli incubi (per adulti e bambini), l'abituarsi mai rassegnato alla quarantena e un'ansia sottile che resta, per molti, anche oltre l'inizio della fase 2. La maggior parte delle persone hanno potuto gestire l'inquietudine del radicale cambio di vita da soli, in famiglia o con l'aiuto di operatori specializzati, ma c'è chi, pur avendo urgente bisogno di un sostegno, magari dopo un lutto dovuto al Covid, non ce la fa o non può permettersi un supporto terapeutico. E però, tra le tante iniziative di solidarietà che in questi due mesi hanno portato sollievo logistico (donazioni agli ospedali) e pratico (consegna spesa gratuita agli anziani, consegna medicine), c'è anche la creazione di un fondo nazionale per “il supporto psicologico Covid-19”, destinato ai cittadini più colpiti dall'emergenza ma che non possono sostenere le spese di una terapia. 

 

Ne parliamo con la Fondazione Soleterre, partita dall'esperienza presso il Policlinico San Matteo di Pavia nell'elaborazione di un modello terapeutico per la gestione del trauma dovuto all'irruzione del virus. Un modello che è stato utilizzato in fase di colloquio con medici e infermieri per cercare di rilevare la presenza e la gravità dei sintomi post traumatici e dei sintomi trasversali, ora esteso a tutto il territorio con un fondo nazionale di supporto psicologico. Funzionerà intanto, per chi ne ha bisogno, con una serie di colloqui effettuati di persona o per via telematica, con priorità a chi, secondo il Consiglio nazionale dell'Ordine degli Psicologi, è considerato “in prima linea” (si possono effettuare donazioni per il fondo al numero 45520), e per chi, durante l'emergenza, magari nelle zone dove più il virus ha colpito, ha sviluppato un disagio non risolvibile senza aiuto professionale. Il Fondo verrà impiegato per rimborsare i professionisti che aderiranno al progetto. Con un'indagine nazionale, spiega la professoressa Patrizia Velotti, responsabile scientifico, si è cercato di identificare i “quadri psicopatologici principali che saranno la base per la strutturazione di un intervento di potenziamento delle risorse e della resilienza”, con comparazione dei risultati anche a livello internazionale, trattandosi di una pandemia, e con successiva creazione di un modello di “triage di gravità” dei sintomi post traumatici.

 

Ha studiato invece il possibile disagio da riadattamento alla vita dopo il lockdown il dottor Gianluigi Mansi, responsabile dell'Unità Operativa di Riabilitazione Psichiatrica degli Istituti Clinici Zucchi di Carate Brianza, identificando alcuni possibili rischi: “Nelle prossime settimane ci troveremo di fronte a una fase di riapertura graduale, una sorta di normalità condizionata ancora dalle mascherine, dai guanti, dalla distanza da tenere”. E questo può generare atteggiamenti opposti tra loro: fobia  di “autoconfinamento” da un lato, per paura dell'eventuale contagio o, all'opposto, la “sindrome da sequestro”: sentirsi privati ingiustamente della propria libertà e decidere di uscire senza seguire le regole di sicurezza.  E se nei casi più gravi, tra gli operatori degli ospedali e tra chi ha perso un familiare a causa del coronavirus, si può riscontrare un disturbo postraumatico da stress, i traumi più lievi lasciati dal lockdown possono tradursi in sintomi psicosomatici: dalla cefalea alla tachicardia alla depressione ai disturbi del sonno. “Con il lockdown  siamo andati contro il paradigma etologico che si sopravvive se si sta insieme”, dice Mansi. Intanto, da uno studio dell’università dell’Aquila con Territori aperti, in collaborazione con l’università di Roma Tor Vergata, emerge una fotografia preoccupante sulle conseguenze psicologiche dell’epidemia, con paura del contagio, della perdita del lavoro o dell'impoverimento, e con impatto “sulla sintomatologia depressiva, ansiosa, ossessivo-compulsiva e post-traumatica nella popolazione generale”. E mentre le città si risvegliano come dopo un lungo sonno, la rete di solidarietà si attiva anche in prospettiva del day after.

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  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.