Giovanni Rezza (foto LaPresse)

Giovanni Rezza, il medico-sentinella della Fase 2

Marianna Rizzini

Il direttore del Dipartimento Malattie Infettive dell'Istituto superiore di Sanità, ha assunto il ruolo di colui che frena, avverte, mette in guardia dal cantare vittoria troppo presto

Ogni “comédie humaine” ha i suoi caratteri, e il lockdown e il suo graduale allentamento non fanno eccezione. Si sono visti infatti su schermi di tv e computer, in questi due mesi, volti diventati ormai familiari di virologi, epidemiologi, medici ospedalieri, direttori di grandi centri di ricerca, consulenti governativi. E di ognuno si riconoscono ormai non soltanto i connotati e la voce, ma anche il tono, il tipo di eloquio, la “cifra” della personalità. C'è chi è da tempo abituato al linguaggio mediatico, come Roberto Burioni; chi compare sui media da poco, come il virologo Andrea Crisanti; chi ogni giorno ha tenuto una conferenza stampa, quella delle 18 per il bollettino dei contagi, come il capo della Protezione civile Angelo Borrelli, e chi ha raccontato con parole (se possibile) di garbo la pandemia, come il professor Franco Locatelli, presidente del Consiglio Superiore di Sanità.

 

Poi c'è chi, come Giovanni Rezza, direttore del Dipartimento Malattie Infettive dell'Istituto superiore di Sanità, ha assunto il ruolo di colui che frena, avverte, mette in guardia dal cantare vittoria troppo presto. Medico e docente, autore di tre libri e di oltre trecento pubblicazioni su riviste internazionali tra cui British Medical Journal, Journal of infection diseases e Lancet, oltre ad alcuni editoriali per il Messaggero, Rezza, nelle interviste di questi giorni di passaggio alla Fase 2, non concede nulla all'ottimismo: “Attenti all'effetto euforia e agli spostamenti in bus”, dice; “il virus morirà a giugno? Non credo. Alcuni colleghi hanno il dono della preveggenza, se accadrà faremo festa”, ribadisce; “dobbiamo essere bravi”, ripete, esortando i cittadini a vigilare prima di tutto su se stessi per evitare di ricadere di peso nel buio della Fase 1.

 

Dice anche cose impopolari, tipo “la decisione sulla serie A resta delicata”, facendo insorgere i tifosi di ogni ordine e grado. Fa chiarezza sulla terapia al plasma (a Radio Radio), spiega che cosa voglia dire “prenderci dei rischi” e “sperimentare” questa parziale riapertura (sul Corriere della Sera), facendosi testimone di un “so di non sapere” ponderato: non sappiamo quale sia l'anello debole, dice, e “lo scopriremo. Aver puntato sulla riapertura per gradi renderà più facile l'identificazione delle criticità. Ci sarà un monitoraggio costante, giornaliero, di che cosa succede. Capiremo se la gente ha compreso il senso di questo allentamento”. Se gli indicatori tornassero a salire, è il concetto che Rezza espone così com'è, senza addolcire, saranno necessarie altre chiusure, anche se frammentarie (il medico infatti dice anche un'altra cosa: un ritorno al lockdown nazionale “sarebbe disastroso da tutti i punti di vista”). “Troppo presto per dire com'è andata”, è il suo mantra di questi primi giorni di riapertura, ed è chiaro che in molti sperano, come indicatore di fine-incubo, di vedere Rezza una sera non lontana da Giovanni Floris, a DiMartedì (dove è stato spesso ospite), pronto a concedere il sospirato “siamo quasi fuori”.

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  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.