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Sì, le mascherine sono efficaci, ma anche su questo manca una strategia

Giulia Pompili

Nei paesi dove sono obbligatorie sono regolamentate

Roma. Mascherine sì, oppure no? E se sì, quali? Sono le domande che non solo l’Italia ma tutto il mondo si sta facendo da settimane. Dopo un’ordinanza della regione, in Lombardia si può uscire di casa solo indossando la mascherina o comunque con una protezione su naso e bocca: anche una sciarpa. Fino a qualche settimana fa le autorità, non solo quelle italiane, ritenevano la mascherina “inutile”. Tutt’ora l’Istituto superiore di sanità dice che l’utilizzo di mascherine chirurgiche “non è raccomandato in assenza di sintomi”. Però pian piano tutti stanno cambiando idea. E sta cambiando idea perfino l’Organizzazione mondiale della sanità, l’istituzione che più ha cambiato idea in questa pandemia: prima l’uso delle mascherine era sconsigliato, poi è diventato consigliato solo se si aveva tosse o si starnutiva, oppure se si trattava con pazienti infetti. Adesso sembra che l’Oms voglia allargare la regolamentazione.

 

Ci sono vari problemi che si sovrappongono su questo tema, alcuni di tipo sociale altri di tipo istituzionale e politico. Alla base del caos sull’utilizzo delle mascherine c’è il fatto che quelle regolamentari sono poche, e con una pandemia in corso sono poche ovunque, nei paesi produttori e nei paesi importatori, e non solo tra la popolazione – se diventa obbligatoria per uscire e però di dispositivi non se ne trovano, come si fa? – ma anche tra gli operatori sanitari. La politica quindi inventa, a fin di bene, quello che in Asia si chiama il dispositivo di conforto: mettetevi pure una sciarpa sul volto se questo vi fa sentire più sicuri. In realtà la scienza dice altro, perché gli unici dispositivi che riducono l’effetto dell’aerosol – ovvero quelle minuscole goccioline che a quanto pare trasportano il virus e si producono anche solo parlando vicino a qualcuno – sono quelli impermeabili, e cioè le mascherine chirurgiche propriamente dette. Ma l’altro ieri il presidente dell’Istituto superiore di sanità Silvio Brusaferro, collegato al telefono a “Che Tempo Che Fa”, ha ripetuto che per i dispositivi di protezione individuale non servono “autorizzazioni particolari”, riservate invece ai presidi usati dagli operatori sanitari. Quindi chiunque può mettersi a vendere mascherine cucite a mano, che però hanno un solo scopo: quello di tranquillizzare le persone dalla minaccia invisibile ed essere in regola con la norma che prevede l’utilizzo obbligatorio di dispositivi di protezione. Ma è una protezione non scientifica, un effetto placebo. E il rischio è che si crei un falso senso di sicurezza collettivo.

 

In Asia orientale, dove la mascherina è un oggetto di uso comune contro lo smog, o contro i raffreddori di stagione, dopo l’inizio dell’epidemia è iniziata una corsa all’acquisto di quelle chirurgiche e filtranti. In particolare in Corea del sud, uno dei paesi più colpiti dall’epidemia e dal panico. Il governo di Seul il 5 marzo scorso ha deciso di incrementare la quota governativa sull’acquisto e la distribuzione delle mascherine nelle farmacie del paese, arrivando all’80 per cento del totale. E ha deciso anche una forma di razionamento: due mascherine a settimana per persona, e solo con quelle si è autorizzati a uscire. Così il governo è tranquillo e l’effetto di sicurezza collettivo è assicurato. Qui da noi, invece, alcune farmacie vendono ancora mascherine ultrafiltranti, utili forse in terapia intensiva, a prezzi esorbitanti, altre invece vendono pezzi di stoffa, sempre a prezzi esorbitanti, senza che nessuno dia una direttiva chiara ed efficace.

 

Le mascherine, quelle vere, sono ancora obbligatorie a Wuhan. A Singapore fino a una settimana fa il loro uso in pubblico era sconsigliato: la città stato stava controllando l’epidemia. Dopo l’aumento dei casi di contagio “di ritorno”, però, il governo ha deciso per un quasi-lockdown e l’obbligatorietà delle mascherine – che però sono consegnate alle famiglie dalle autorità. Così funziona anche l’Abenomask, la strategia del governo di Shinzo Abe a Tokyo che ieri ha dichiarato l’emergenza per sette prefetture: le mascherine, lavabili, saranno consegnate a casa dal governo. A Hong Kong il governo locale ha dovuto contraddire sé stesso: qualche mese fa durante le proteste aveva messo al bando le mascherine, ora le ha rese obbligatorie. Domenica scorsa al briefing della task force anti coronavirus il presidente americano Donald Trump ha detto che lui forse non indosserà la mascherina, ma il Center for Disease Control statunitense ora consiglia ai cittadini di coprirsi naso e bocca quando escono.

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.