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Non solo test. Come ha fatto il Veneto a diventare la Corea del sud italiana

Marianna Rizzini

Dal contenimento alla patente di immunità. Il virologo Andrea Crisanti spiega perché nella regione i tassi sulla letalità sono minori rispetto alle altre limitrofe

Roma. I decreti, il distanziamento sociale, il problema del come e quando affrontare il dopo. E poi il cosiddetto “modello Veneto”, la regione dove è stata sperimentata una via per così dire “sudcoreana” al contenimento del virus e dove anche i tassi sulla letalità sono minori rispetto alle colpitissime regione vicine, che pure hanno sistemi sanitari che, in condizioni normali, sono sempre stati considerati all'avanguardia. E, anche in vista del passaggio a una fase successiva, ci si domanda se la via veneta sia percorribile con successo anche altrove. Intanto, c’è il fatto che in Veneto, come dice il virologo Andrea Crisanti, direttore dell’Unità complessa diagnostica di Microbiologia a Padova e docente di Virologia all’Imperial College di Londra, non soltanto si è studiato a fondo il caso di Vo’ Euganeo, uno dei primi paesi “zona rossa”, dove, dopo aver sottoposto i 3.300 abitanti a tampone, si è scoperto che un altissimo numero di casi era asintomatico (circa il 70 per cento, e l’asintomatico è purtroppo contagioso). Si è quindi scelto in fretta, nella regione governata da Luca Zaia, la strada del contenimento del virus attraverso l’individuazione precoce dei positivi, dice Crisanti, che oggi sottolinea l'importanza “di concentrarsi soprattutto sui nuclei familiari, estendendo i controlli a tutte le persone che ne fanno parte”. Andando a “cercare” i positivi, si è scoperto che oggi, in Veneto, se con la ricerca attiva il numero dei casi identificati può apparire costante (come si è visto), si registra però nel contempo un dato molto importante: il calo del numero di ricoverati e di persone che hanno bisogno di terapia intensiva. Altro punto della strategia veneta: l’individuazione per tempo dei focolai e il loro conseguente “spegnimento” (e Crisanti mette l'accento sulla necessità, di “prestare attenzione, ora, in questo senso, alla situazione nelle case di riposo per anziani e in generale al problema della trasmissione in comunità chiuse”).

 

Ma com’è nata quella che potrebbe essere chiamata “eccezione veneta”? “Come ricercatore la prima cosa che faccio è dubitare”, dice Crisanti, “e il dubbio che ci fosse un grande numero di asintomatici che trasmettevano il virus mi è venuto subito. Abbiamo deciso allora per la strada della ricerca serrata dei positivi”, anche se la linea dell'Oms, in quel momento, era di fare sì i test, ma di concentrarsi sui sintomatici che presentassero fattori di rischio. Il Veneto ha agito in altro modo (i giornali due settimane fa titolavano “tamponi direttamente in auto”, mentre per i prossimi giorni Zaia ha annunciato l'avvio di un nuovo macchinario capace di analizzare 7-8 mila tamponi). E ora nel resto d'Italia c’è chi si sta attrezzando per seguire l’esempio veneto (il Piemonte, ma anche altre regioni, come la Campania e la Puglia, si preparano a procedere in direzione simile). La distanza sociale è importante, dice Crisanti, ma per prepararsi al dopo, “oltre allo sforzo logistico” su tamponi e analisi diagnostiche, “è necessario organizzare un sistema di tracciabilità”. E’ la seconda similitudine con la Corea del Sud: “Con una pandemia in corso”, dice Crisanti, “se si vuole recuperare un minimo di libertà di movimento bisogna rinunciare a un minimo di privacy, non si possono avere entrambe, e per poter superare l'emergenza su qualcosa bisogna cedere, specie in vista della riapertura delle grandi strutture produttive”. Servirebbe, dice il virologo, per poter passare alla fase successiva, una volta che la curva dei contagi si sarà stabilizzata verso il basso, un “piano nazionale” con linee guida chiare. Oppure “la creazione di un modello-pilota” con possibilità annunciata da Luca Zaia di distribuire una patente di immunità, per capire che cosa funziona, che cosa non funziona e quali sono i costi di un percorso rispetto a un altro. E il Veneto, per molti aspetti, è già un caso-scuola, a partire appunto dalla ricerca dei positivi, dalle categorie esposte alle famiglie, procedendo per cerchi concentrici.

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  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.