Una manifestazione No vax (foto LaPresse)

L'autodiagnosi fa più danni delle scie chimiche. Salviamoci da dottor Google

David Allegranti

Non solo i no vax. Un neurochirurgo spiega "l'uno vale uno" in medicina

Roma. “Coloro che si sono già diagnosticati da soli tramite Google, ma desiderano un secondo parere, per cortesia controllino su yahoo.com”. A fine novembre, sulla porta dello studio di un medico all’Istituto nazionale tumori-Int di Milano è comparso un cartello con questa scritta, che poi è stato rimosso. “Sapessi quanta fatica fanno i farmacisti ogni giorno a combattere tale dilagante ignoranza e convinzione. Quando poi si presentano persone che oltre al Dr. Google ti vogliono sottoporre le loro tesi sperimentali in farmacologia e tossicologia, avvallate da tali fonti scritte, allora la fatica e lo scoramento decuplicano”, ha scritto un farmacista, Giancarlo Dicaro, tra i commenti a un post del virologo Roberto Burioni sul libro “Vacci-Nazione” di Giulia Innocenzi, pieno di strafalcioni. “Oggi vi racconterò una cosa che mi ha fatto sorridere. Su Twitter scrivo una frase (anche abbastanza scontata): ‘Il vaccino esavalente non è ‘sei vaccini’ ma ‘un vaccino che protegge da sei malattie’. Un’ovvietà per chi conosce il tema ma che qualcuno potrebbe trovare interessante. Tutto qui. La sorpresa è arrivata quando un lettore mi ha risposto: ‘Scusi ma lei che ne sa?’”, ha scritto Salvo Di Grazia, medico-blogger, sul suo sito.

 

Ok, alzi la mano chi non si è mai fatto una autodiagnosi su Google pensando, di fatto, di saperne di più del medico? Benissimo, potete abbassarla (compreso il sottoscritto). L’autodiagnosi ci sarà pure sempre stata, ma anni di disinformazione, programmi-tv spazzatura, un malinteso senso della democrazia (la scienza però non si fa a colpi di referendum e direttismo democratico), una deriva sciachimista e complottista e, perché no, anche un miglioramento del generale livello di istruzione che porta le persone a sopravvalutarsi, hanno messo i medici e gli scienziati in una strana condizione. “Una cosa che ho notato sempre più negli ultimi anni – dice al Foglio Guido Pecchioli, classe 1984, medico neurochirurgo dell’ospedale Careggi – è che i pazienti si presentano con un primo consulto o una diagnosi fatta in maniera autonoma, autogestione, accessibile online, attraverso autoinformazione e ricerca di dati oppure, peggio, con un consulto effettuato in maniera comunitaria, sui forum, dove a domanda specifica vengono riportate le esperienze di altre persone, in stile ‘mia zia mi ha detto’, ‘mio cugino ha avuto’. I pazienti dunque si presentano con informazioni mancanti e spesso non corrette”. Alcuni arrivano armati di fogliolini stampati da alcuni siti come mypersonaltrainer.it – un sito molto seguito che si occupa di “bellezza, dieta fitness, integratori e salute”, troppe cose insieme, evidentemente, per essere preso sul serio – convinti di saperla lunga ad esempio sul neurinoma dell’acustico, un tumore intracranico, sicuramente più del dottor Pecchioli, nonostante sia questa la sua specializzazione, cui ha dedicato anni di studio universitario e di esperienza. Il problema, spiega, è che in medicina “uno vale davvero uno”, ma non perché medico e paziente valgano alla stessa maniera. Uno vale uno perché ogni individuo è unico e se cento persone su un forum di medicina dicono di avere la stessa malattia non significa che ce l’abbia anche tu (e, anzi, magari nessuno di loro ce l’ha nonostante descrivano gli stessi sintomi). Certo, trovare conferma alle proprie credenze può essere rassicurante, ma il valore di alcuni siti online spesso è nullo. Magari contengono anche dati corretti in mezzo alla pubblicità. Dati che comunque vanno riconosciuti, interpretati. E a questo servono i medici. “Anche noi facciamo ricerca su internet, ad esempio su PubMed, dove ci sono tutti gli articoli pubblicati dal mondo scientifico. E’ l’archivio dell’istituto di salute americano e contiene soltanto pubblicazioni scientifiche indicizzate”. Il problema dunque non è nella ricerca facilitata dalla tecnologia e dalla Rete, ma nel pensare che collezionare informazioni sia conoscenza (ormai dovrebbero aver capito che non è così anche quelli che pensano di risolvere problemi politici, sociali e persino giuridici con i big data). Figurarsi poi quando le informazioni sono sbagliate o falsificate. Figurarsi quando vanno a toccare le corde sensibili di un certo complottismo, che vede macchinazioni sovranazionali e intranazionali dietro ogni medicinale venduto.

 

   

“In questo senso la scienza non è democratica, perché pur non avendo preconcetti e accettando errori e relative correzioni di errori, non si basa sul parere e il giudizio della maggioranza della popolazione ma su un rigoroso metodo: anni di studio e di ricerca consentono all’uomo di scienza di formulare ipotesi e confutare tesi, avere accesso a internet non dà nessun tipo di potere aggiuntivo; fornisce casomai tantissime informazioni, il che però spesso equivale a non averne nessuna”. I filtri non servono soltanto in politica o nel giornalismo, ma anche nello studio scientifico. “Dieci anni fa signore anziane arrivavano dicendo che la zia era morta per una determinata malattia e quindi pensavano di averla anche loro; oggi ci arrivano giovani di 20 o 30 anni con fogli stampati dal dottor Google ed è pure difficile fargli cambiare idea. Quando ho iniziato a studiare io, 13 anni fa, ho visto la fase terminale del rapporto paternalistico fra medico e paziente. Durante questi anni la volontà dell’individuo si è imposta all’interno della decisione medica, c’entra il dibattito sul fine vita ma non solo. Per questo oggi si parla di consenso informato, ma un conto è elevare il rapporto decisionale, pareggiandolo, e un altro è rischiare di far perdere il controllo al medico perché il paziente si ritiene investito di un’autorità che però è inevitabilmente parziale e senza basi adeguate. Insomma, un conto è andare al ristorante e ordinare quello che c’è sul menù, un altro è andare in cucina a prepararti da mangiare da solo”.

 

Quando sono esplosi i no vax, Pecchioli si è trovato anche in famiglia sommerso di domande e dubbi, nati dopo aver letto su internet o visto in tv che “i vaccini fanno male”. Lui s’è messo lì a spiegare perché sono scemenze e che “c’è sì una quota di rischio, ma se pensiamo che uno dei più grandi cancerogeni al mondo è il sole che facciamo? Mandiamo via dall’Australia gli australiani, che non a caso hanno più melanomi di tutti gli altri nel resto del mondo? La prima grande innovazione della storia dal punto di vista medico è stato spostare la latrina dalla cucina, la seconda sono stati i vaccini. Il problema è che una falsa notizia ripetuta tante volte diventa una verità. Io sono convinto che i No Vax lo fanno per amore verso i loro figli, solo che sono male informati e l’informazione certe volte non aiuta, visto che in tv si preferisce buttarla in caciara con argomenti non adeguatamente approfonditi. La nostra generazione non ha avuto la polio e non ha dovuto vaccinarsi perché i nostri genitori da giovani si sono vaccinati, portando all’eradicazione della malattia. Invece nel 2017 c’è chi muore di morbillo ed è un crimine”.

E come si combatte questo crimine? Con l’informazione rigorosa e la conoscenza. “Su Instagram c’è la spunta blu per la verifica di profili autentici, ecco io vorrei una spunta blu per l’informazione medica. Non so se sia possibile, ma sarebbe utile”.

  • David Allegranti
  • David Allegranti, fiorentino, 1984. Al Foglio si occupa di politica. In redazione dal 2016. È diventato giornalista professionista al Corriere Fiorentino. Ha scritto per Vanity Fair e per Panorama. Ha lavorato in tv, a Gazebo (RaiTre) e La Gabbia (La7). Ha scritto cinque libri: Matteo Renzi, il rottamatore del Pd (2011, Vallecchi), The Boy (2014, Marsilio), Siena Brucia (2015, Laterza), Matteo Le Pen (2016, Fandango), Come si diventa leghisti (2019, Utet). Interista. Premio Ghinetti giovani 2012. Nel 2020 ha vinto il premio Biagio Agnes categoria Under 40. Su Twitter è @davidallegranti.