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Roma Capoccia

La Porta alchemica all'Esquilino, dove storia e magia si fondono

Andrea Venanzoni

Non male sarebbe guidare per mano i turisti alla scoperta di un mondo ctonio, magari bizzarro ma che pure costituisce patrimonio culturale e storico della città. A partire dall'Esquilino

Incastonata nel più chiassoso dei crocevia multietnici, quell’Esquilino spesso al centro delle cronache a causa del degrado, la ‘Porta Alchemica’ è uno dei simboli più obliqui e rilevanti di una Roma esoterica, poco conosciuta e poco valorizzata. Non male sarebbe invece guidare per mano i turisti alla scoperta di un mondo ctonio, magari bizzarro ma che pure costituisce patrimonio culturale e storico della città. Una sorta di esoturismo che alcune istituzioni, in altri paesi ma pure in Italia, già sfruttano e capitalizzano adeguatamente da tempo.

  

Poco appariscente allo sguardo e un po’ abborracciata per disposizione e posizionamento, la Porta è oggi ciò che rimane di una pregevole villa patrizia che fu espropriata e demolita, nel cuore montante della modernizzazione dell’Urbe. In realtà, in origine, quella porta sormontata da due statue del Dio egizio Bes, protettore della casa dalle potenze maligne, figura dalle fattezze mostruose ma di indole assai benigna, era posizionata nella villa del nobile Savelli di Palombara, alchimista amico della Regina Cristina di Svezia la cui corte romana frequentò con assiduità.

   

Unica superstite tra cinque esistenti e risalente al 1680, quella porta incarna la rappresentazione simbolica di una protezione, di una trasformazione e di una summa di tributo e di adesione alla cosmogonia alchemica. Protezione della residenza, con quelle due nanesche e guardinghe statue che non vennero realizzate per l’occasione ma ritrovate nell’area del Quirinale, dove sorgeva il tempio della divinità sincretica Serapide.

 

E non casuale, ma sincronico in chiave junghiana, appare quel posizionamento visto che l’alchimia, tanto cara alla regina Cristina di Svezia e al Savelli di Palombara, fu scienza magica di antichissima origine egizia. Il termine stesso deriverebbe dalla espressione Al Kemet, il terriccio fertile ombroso e oscuro che dopo ogni piena annuale si deposita sulle rive del Nilo: simbolo della nascita e della trasmutazione, a partire da quel colorito nero che in alchimia simboleggia la prima fase, la Nigredo, della Grande Opera.

 

Trasformazione. Perché decine di iscrizioni punteggiavano la villa e ornano ancora la porta. Motti sapienziali arcaici e simbologia planetaria connessa alla liturgia dei metalli, a promettere la trasformazione della materia e dello spirito.

 

Summa simbolica, infine, con derive cabalistiche e riferimenti librari e occulti rimandanti l’aura rosacruciana, secondo la cura della Regina Cristina che del rosacrucianesimo fu fervente accolita. Fregi e simboli che compaiono sulla parte elevata della porta furono ispirati al Savelli da libri seicenteschi di alchimia e magia, quali l’Aureum Seculum Redivivum, di Henricus Madatanus, o il testo Chymica Vannus risalente al 1666. E c’è poi una leggenda, intrecciata a un episodio storico reale, ingarbugliato questo come una spy story dal sapore misterico.  La vicenda dell’alchimista Francesco Borri, amico della Regina Cristina di Svezia e del nobile Palombara e da questi ospitato.

   

Più volte incarcerato nelle viscere di Castel Sant’Angelo per veneficio ed eresia, ottenuta la semi-libertà il Borri sarebbe poi scomparso nel nulla dopo esser stato ospitato nella villa di Palombara. 
Secondo la leggenda, alla ricerca di una miracolosa erba curativa nel giardino della villa, il Borri sarebbe stato visto scomparire attraverso la porta lasciando dietro di sé una pergamena contenente la formula per l’elisir di lunga vita e pagliuzze d’oro, simbolo della avvenuta trasmutazione alchemica.  Fuor dalle nebbie della leggenda, il Borri scomparve davvero nel nulla e lo si ritenne morto; eppure alla data della sua morte rimonta la nascita di una figura tra le più enigmatiche della storia magica d’Italia e di Francia e che avrebbe intrecciato il suo cammino con il Conte di Cagliostro, il Conte di Saint-Germain.

 

Secondo diverse testimonianze, la fisionomia del Conte di Saint-Germain sarebbe del tutto compatibile con quella del Borri, a lasciar intendere che l’alchimista avrebbe solo simulato la propria morte per sfuggire l’Inquisizione.

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