Foto di Joel C Ryan, Invision, via AP, via LaPresse 

Roma Capoccia

Il 27 è la Prima dell'Opera, con regia (dibattuta) di Emma Dante

Mario Leone

Il Teatro ha deciso di puntare sull'originalità e alza il sipario su una storia vera del '700 in cui sono protagoniste 16 monache ghigliottinate

Da quest’anno, il 27 novembre sarà per Roma il giorno dell’inaugurazione della stagione del Teatro dell’Opera. Un appuntamento fisso, almeno sino al 2025, che possa celebrare non solo l’inizio di un nuovo cartellone musicale ma un legame profondo tra Roma e i romani con il teatro d’opera. Dalle parti di piazza Beniamino Gigli c’è grande fermento. Un clima elettrizzante che si respira mentre proseguono le prove di “Dialogues des Carmélites” di Francis Poulenc che apre questa stagione. Un titolo poco eseguito che manca dal 1991. Una scelta che è anche una dichiarazione d’intenti del duo Michele Mariotti e Francesco Giambrone, rispettivamente Direttore Musicale e Sovrintendente: il teatro deve tornare a fare il teatro. “Stimolare le coscienze delle persone – dice Mariotti – la curiosità della gente. Il teatro deve tornare a darci la forza di combattere la realtà e non solo evaderla. Deve tornare ad avere la sua funzione sociale come luogo in cui la società si rispecchia e identifica”. Ecco spiegato un cartellone che abbraccia secoli e secoli di storia, dal Barocco sino al Novecento inoltrato, con autori molto lontani tra loro per stile e con titoli che non sempre stuzzicano la curiosità di un pubblico eterogeneo. 

 

Il Teatro dell’Opera ha deciso di puntare sull’originalità, sulla varietà e sulla qualità, sicuro che questa sia la strada maestra per riportare tutti in sala, soprattutto i giovani. Alzare il livello, dare spazio alle novità, rileggere i grandi classici. Otto nuove produzioni tra opera e danza; nove titoli d’opera, cinque balletti e quattro concerti. Tante “prime volte” di artisti e titoli significativi: il debutto in Italia del regista polacco Krzysztof Warlikowski (con “Da una casa di morti” di Janáček) e del tedesco Johannes Erath con il dittico formato dal “Tabarro” di Giacomo Puccini e dal “Castello del Duca Barbablù” di Béla Bártok. Tra gli spettacoli, “Adam’s passion” di Robert Wilson, con musiche di Arvo Pärt, vede la sua prima ed esclusiva esecuzione nel nostro paese e segna il debutto di una grande interprete della danza come Lucinda Childs. 

 

Dunque, domenica alle 19 si alza il sipario su una storia vera, quella delle sedici monache carmelitane ghigliottinate il 17 luglio 1794 in Place du Trône a Parigi, condannate a morte dal Tribunale Rivoluzionario per crimini contro il popolo francese. L’opera nasce dall’omonimo scritto di Bernanos che Poulenc riprende testualmente, tagliando le parti politiche e lasciando intatto l’aspetto spirituale. La sua musica fonda la sua ragion d’essere in una speciale sensibilità letteraria. Non a caso, nel “Journal de mes mélodies” il compositore scrive: “Se sulla mia tomba comparisse l’epitaffio: Qui giace Francis Poulenc, il musicista di Apollinaire e di Éluard, credo che sarebbe il mio più bel titolo di gloria”.


La partitura è sobria ma lussureggiante, raffinata e straziante allo stesso tempo. L’armonia combina sonorità impressioniste moderne e lattiginose con echi della musica sacra modale francese dell’antichità. Ne viene fuori un’opera raffinata e complessa come il “Pelléas” di Debussy dove il compositore associa numerosi motivi a personaggi e situazioni in una specie di leitmotiv wagneriano. 

 

Emma Dante firma la regia, da quanto trapela non mancheranno motivi di discussione. In “Dialogues” le tematiche sono diverse. La femminilità di queste monache, il fanatismo, lo scontro tra politica e religione, la paura (la protagonista Blanche è l’emblema di questa condizione umana), la morte, violenta e ingiusta, la possibilità di affrontarla sorridendo. Con questo lavoro Poulenc entra di diritto nel novero dei grandi compositori francesi, lo fa in un momento di forte difficoltà personale, attanagliato dalla ricerca di senso e alle prese con le domande fondamentali della vita che egli decide di guardare con lealtà, attraversandole sino in fondo.

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