Foto Mauro Scrobogna / LaPresse

Roma capoccia

In una docuserie la vita, la morte e la fierezza di Colleferro

Stefano Ciavatta

Dalla fondazione durante il Ventennio (ma non chiamatela città fascista) alla decadente ricostruzione nel dopoguerra: l'episodio pilota di "Città Novecento" è dedicato alla comunità a 50 km da Roma

“Colleferro è una città di rifondazione, non di fondazione. Quelle fasciste si dividono in due tipi: la città rurale di bonifica e colonizzazione, quelle turistico-balneare, e poi quelle dell’autarchia, che però sono figlie dei villaggi che vengono costruiti dall’industria privata italiana tra fine 800 e inizio 900. Le città come Colleferro hanno già alle spalle una cultura di villaggi industriali sedimentata, dove difficilmente comanda il fascio ma l’azienda”, spiega Antonio Pennacchi (ultima sua intervista video) nell’episodio pilota dedicato a Colleferro della docuserie “Città Novecento” di Dario Biello, prodotta da Filmedea - Luce Cinecittà, presentata al Festival del Cinema e in uscita a fine novembre al cinema. Un racconto che rende giustizia all’epopea della new town laziale, schiacciata nell’immaginario dal magnete Roma (a 50 km) e dall’impropria assimilazione alle città di fondazione mussoliniana. “Città Novecento” è una serie sulle città italiane nate dall'utopia della politica, dell’industria, e dell'architettura come i villaggi operai liberty di Crespi d’Adda da 26 anni patrimonio Unesco. C’è già della brillante letteratura a proposito, vedi “Andar per città ideali” di Isman (Il Mulino) e “Fascio e Martello” di Pennacchi (Laterza).

 

Il tono della docuserie è tra didascalico e lirico perché incombe sulla comunità di Colleferro la memoria dei 60 morti e 1500 feriti del 29 gennaio 1938, l’incidente dello scoppio della fabbrica chimica PBD (Bombrini Parodi Delfino). Per spiegare l’evoluzione urbanistica e sociale di Colleferro, intervengono anche Massimo Cacciari, Emilio Gentile, Luigi Prestinenza Puglisi, Claudia Conforti, Maurizio Morandi, Marzia Marandola, Giorgio Novello. Nata sul confluire delle linee ferroviarie Roma-Cassino-Napoli e Velletri-Segni, intorno alla stazione di Segni-Paliano, citata in un verso dannunziano, piccolo aggregato dello zuccherificio Valsacco riconvertito poi nel 1912 dall’imprenditore milanese Leopoldo Parodi Delfino in fabbrica di esplosivi e relativo villaggio (alloggi, farmacia, scuola, e tempietto di santa Barbara), fino alla città razionalista del 1935, con il piano regolatore di Riccardo Morandi (che progetterà viabilità, spazi aperti e palazzi dei servizi).

Nel dopoguerra Colleferro verrà ricostruita ma verrà il declino di una esperienza unica - l’autonomia dalla campagna, l’ambiguità tra villaggio operaio e aziendale, il controllo sulla piccole concentrazioni, “l’ozio è bandito, è il vizio capitale” e un modello di organizzazione sociale non più economicamente redditizio con l’avvento dell’industrializzazione e i consumi di massa, anche perchè, come ricorda Cacciari, le politiche di welfare, da locali e paternaliste, diventano statali.
 

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