Jean-Christophe Babin, ad di Bulgari (LaPresse) 

Roma Capoccia

“A Roma il mecenatismo privato può far molto”, dice l'ad di Bulgari

Fabiana Giacomotti

Intervista a Jean-Christophe Babin, amministratore delegato della maison, sul restauro di largo di Torre Argentina

Fra aziende dello stesso gruppo non è uso rivendicare primazie. Però, quando facciamo notare all’amministratore delegato di Bulgari Jean Christophe Babin, raggiunto al telefono dopo la conferenza stampa digitale sull’avvio dei lavori di restauro dell’area sacra di Largo di Torre Argentina, che ormai la “sua” maison ha superato Fendi nella cura e nel restauro del patrimonio culturale di Roma, qualificandosi come il primo mecenate del Campidoglio, dice che, in effetti, le cose stanno proprio così. L’ultimo grande progetto di Fendi per la città di cui porta il nome stampigliato sulle shopping bag fu il restauro della Fontana di Trevi, e correva il 2015. In questi ultimi sei anni, Bulgari ha dispiegato una forza d’urto e un impegno nei confronti della capitale italiana che, dovesse essere calcolato in termini di redemption pubblicitaria e di posizionamento, supererebbe di gran lunga l’impegno economico pure piuttosto rilevante profuso.

 

Dal 2014, cioè un anno dopo il suo arrivo a Roma, Babin ha stipulato con Roma Capitale una serie di accordi che vanno dal restauro della Scalinata di Trinità dei Monti (circa 1,5 milioni, i turisti tentarono di rituffarsi nella Barcaccia un minuto dopo) al recupero, per un milione di euro di cui circa la metà ricollocati dal precedente stanziamento, dell’Area Sacra di largo di Torre Argentina dove si trova anche il basamento di tufo della Curia di Pompeo attorno al quale Bruto e i congiurati pugnalarono Giulio Cesare e che, possiamo testimoniarlo, è sempre ornato di fiori freschi portati da studiosi e appassionati delle etnie più varie, alla faccia della cancel action promossa delle università inglesi e americane contro le opere di Shakespeare, che ne ha mantenuto la memoria inalterata certamente più degli storici. Fra qualche settimana (la data prevista era il 21 aprile, dubitiamo che verrà confermata), dovrebbe essere riaperta anche l’area del Mausoleo di Augusto, teatro di feste e parate per secoli e che, incidentalmente, si trova di fronte al palazzo razionalista in cui Bulgari sta portando a termine il suo albergo capitolino.

 

Per il Giubileo del 2025 o forse anche prima, dice Babin ma soprattutto conferma la Sovrintendenza Capitolina molto abilmente diretta da Maria Vittoria Marini Clarelli, l’Area Sacra di largo di Torre Argentina dovrebbe essere resa disponibile al godimento pubblico in forma organizzata, cioè al netto della passeggiata spersa fra erbacce e gatti randagi di oggi: sono previsti camminamenti in quota illuminati di notte a Led, e un percorso guidato ad accessibilità allargata dalla Torre del Papito, che renderà più facile anche ai visitatori meno esperti distinguere fra vestigia romane e medievali. In conferenza stampa, la sindaca Virginia Raggi gioca il ruolo della moderatrice, dando la parola agli ospiti per limitare le sue al minimo indispensabile: dilungarsi sugli “antichi splendori”, come tenta di fare ma subito tace, avrebbe prestato il fianco a nuove ironie dopo la recentissima figuraccia sul filmato promozionale della Ryder Cup 2023 che mostrava l’arena romana di Nimes in luogo del Colosseo (il filmato è stato realizzato negli Usa e dunque si possono solo allargare le braccia e compatire, ma in Campidoglio è passato senza che nessuno alzasse il sopracciglio).

 

 

Dice invece Babin al Foglio che Bulgari continuerà a sostenere anche le attività del Maxxi (i tre artisti finalisti del Bvlgari Prize, Giulia Cenci, Tomaso De Luca e Renato Leotta, sarebbero ancora visibili se il museo fosse visitabile: si spera in un recupero alla prima riapertura del settore; il vincitore verrà decretato fra poche settimane), a finanziare le principali mostre di arte classica (regge anche con decisione qualche divergenza di vedute sul restauro dei marmi Torlonia) e al contempo a sostenere le attività dello Spallanzani nella lotta al Covid. Qualunque sia l’impegno, il bilancio del primo trimestre del gruppo Lvmh, diffuso due giorni fa, dice che può permetterselo: su ricavi complessivi per quasi 14 miliardi di euro, in progressione del 30 per cento a livello organico rispetto allo stesso periodo del 2020, quando l’emergenza sanitaria legata al Covid-19 aveva già messo a dura prova i consumi, la divisione dei gioielli e orologi è quella che ha portato i risultati migliori sia grazie all’integrazione di Tiffany (138 per cento), sia grazie alle innovazioni di Bulgari e Tag Heuer, con la collezione “serpenti viper” e il cronografo Tag Heuer Carrera Porsche: totale, 1,88 miliardi di euro. In seno alla giunta, c’è chi dice che la sindaca potrebbe chiedere di più. Lei, ieri, ha portato il Babin ad ammirare la vista dal suo ufficio.

 

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