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Conte e Letta: “Parliamo di tutto, anche del candidato sindaco a Roma”

Gianluca De Rosa

Nella Capitale l’obiettivo alleanza con i dem ha i contorni dell’impossibile. Dal Campidoglio chiariscono: “Solo se si parte da Virginia Raggi”

“Chi va da solo rischia di essere meno efficace: già a partire dalle prossime elezioni amministrative c’è la volontà di confrontarci per trovare le soluzioni migliori per tutte le situazioni territoriali”. Appena uscito dall’incontro con il segretario del Pd Enrico Letta, ecco che Giuseppe Conte, stranamente trafelato, fa il punto con i cronisti e le tv. E lo dice chiaro e tondo: il primo banco di prove dell’alleanza 5 stelle-Pd saranno le prossime elezioni amministrative. “Anche a Roma?”, gli chiede qualcuno. “Discuteremo di tutto”, risponde l’ex presidente del Consiglio per non porre limiti alla Provvidenza. In cuor suo, però, Conte sa benissimo che nella Capitale l’obiettivo alleanza con i dem ha i contorni dell’impossibile.

 

Se a qualcuno fosse venuto qualche dubbio, comunque, dal Campidoglio lo chiariscono subito. Alleanza? “Solo se si parte da Virginia Raggi”. La linea è nota e anche ieri veniva ripetuta come un monito inscalfibile dal capogruppo grillino in Assemblea capitolina Giuliano Pacetti, ma anche dalle due senatrici romane Alessandra Maiorino e Giulia Lupo: “Se davvero le forze progressiste, come il Partito democratico, intendono sostenere le donne di valore, a Roma hanno una grande opportunità: sostenere Virginia”. Appelli destinati a cadere nel vuoto, ma anche a lasciare irrisolto il rebus dell’alleanza nella Capitale. Il passo indietro della sindaca d’altronde è quasi impossibile. E anche il tentativo del Pd di convincere i 5 stelle a scaricarla non ha dato i suoi frutti. Da Beppe Grillo in giù, quasi tutti i big del M5s hanno confermato il loro sostegno. L’unica flebile speranza è riposta nell’opposizione interna ai grillini.

 

D’altronde ci sono almeno due fatti che dimostrano che c’è una parte di 5 stelle che anche a Roma vorrebbe un’alleanza con i dem. Da un lato ci sono i grillini passati al governo della Regione Lazio con l’ingresso nella giunta Zingaretti di Roberta Lombardi e Valentina Corrado (Lombardi auspicherebbe per la città delle primarie del centrosinistra con Raggi tra i candidati, un’ipotesi che però non piace né alla diretta interessata né ai dem). Dall’altro, in Campidoglio ormai da mesi si è creata una fronda di dissidenti composta da quattro consiglieri – Enrico Stefàno, Donatella Iorio, Marco Terranova e Angelo Sturni – contrari alla ricandidatura della sindaca e favorevoli ad un’alleanza “con le altre forze progressiste della città”. Per ironia della sorte questa fronda adesso è diventata centrale: dopo il passaggio al gruppo Misto della consigliera Gemma Guerrini, senza di loro Virginia Raggi non ha la maggioranza in Assemblea capitolina. Per adesso i frondisti promettono comunque lealtà, ma se decidessero di staccare la spina alla maggioranza nessuno potrebbe impedirlo. A traghettare la città alle elezioni sarebbe un commissario. Ma a chi gioverebbe?

 

Intanto ieri, un po’ per sottolineare il solco che divide la sindaca dal Pd, un po’ per ricompattare i grillini intorno alla prima cittadina, la comunicazione del Campidoglio era tutta improntata ad una nuova polemica con l’ex segretario del Pd e presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti. Post, tweet, comunicati stampa. Un profluvio di solidarietà offerta da consiglieri e parlamentari grillini alla prima cittadina che il governatore ha definito nuovamente “una minaccia per Roma”. “Le parole sono pietre. Per Zingaretti la ‘minaccia’ per Roma è rappresentata da una giovane donna finita sotto scorta per aver dichiarato guerra alla criminalità organizzata”, ha cominciato Raggi citando Carlo Levi. Mentre la ministra dell’Agricoltura Fabiana Dadone, da sempre vicina alla prima cittadina, sintetizzava i post di tutti gli altri tirando le somme: “La vera ‘minaccia’ per Roma sono i politici terrorizzati da Virginia Raggi”. (gdr)

 

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