Il candidato alla segreteria del Pd, Nicola Zingaretti (Foto LaPresse)

Le strategie di Zingaretti per sganciarsi dalla regione Lazio

Marianna Rizzini

Se il candidato vincesse le primarie del Pd, non sarebbe così semplice abbandonare la carica di governatore

Roma. Smentisce, smentisce, smentisce, Nicola Zingaretti, presidente di regione e candidato segretario del Pd. Smentisce di voler fare altro, per esempio candidarsi alle Europee dopo una vittoria interna e lasciare lo scranno locale: “Non mi candiderò”, ha detto ieri da Bruxelles, “rimarrò a fare il presidente della regione, proprio perché da amministratore noto quanto sia utile, anche per la politica dei democratici, non perdere l’orecchio sulla strada, sui problemi delle persone e sulla complessità della vita amministrativa”. Non guardiamo “al passato”, ma “a nuove alleanze”, ha detto sempre Zingaretti, facendo sobbalzare chi, nel Lazio, vede l’intesa cordiale e forzata con i Cinque stelle di Roberta Lombardi (causa imperfezione numerica della maggioranza zingarettiana) come il prodromo di un futuro in cui sempre più si cercherà l’inseguimento, in chiave antisalviniana, del famoso e famigerato “dialogo con il M5s”.

 

E nel giorno in cui Massimo D’Alema fa il suo endorsement – “speriamo che il congresso dia a Zingaretti la forza di aprire un nuovo corso politico. Credo che se c’è una svolta nel Pd si possa riaprire anche una prospettiva di dialogo a sinistra”, e in cui i numeri confermano il primo posto zingarettiano nella corsa pre-primarie, il presidente della regione sembra trincerarsi, in qualche modo, dietro la regione. Ma sembra anche prigioniero della regione stessa. Per quanto smentisca, infatti, il problema resta, sotto forma di domanda: e se Zingaretti diventa segretario del Pd, che cosa succede? E che cosa succede nel Lazio?

 

Ed ecco che l’idea che il governatore possa dimettersi e candidarsi alle Europee rientra dalla porta: sarebbe cosa logica, sì. Lo sarebbe stata in altri tempi. Ma forse non oggi in questo Lazio, dove i gialloverdi puntano al governo anche locale e dove, a muovere mezza foglia, viene giù tutta l’impalcatura di centrosinistra che il governatore tiene in piedi sotto l’ombrello del suo nome – dai gentiloniani ai centri sociali – ma che non si sa se si terrebbe sotto ombrello altrui, anche se Enrico Gasbarra, già europarlamentare pd ed ex presidente della provincia di Roma, dopo la stagione renziana, si è spostato sull’ala zingarettiana, apparentemente per le parole spese da Zingaretti su Luigi Sturzo (“il richiamo di Zingaretti al manifesto dei ‘Liberi e forti’ di Sturzo in occasione del centenario”, ha detto Gasbarra, “è stato un passaggio significativo nel dibattito congressuale, molto apprezzato da me e da tanti cattolici del partito”), ma chissà se anche con l’idea sottesa di una futuribile staffetta (suggestione già emersa in passato, prima delle ultime regionali). E insomma quella di Zingaretti che lascia il Lazio pare da un lato tentazione, dall’altro rimozione. Due gli spauracchi: la perdita del Lazio e la rottura degli equilibri interni al Pd nel consiglio regionale.

Di più su questi argomenti:
  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.