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Roma carogna

Salvatore Merlo

Tra blocchi stradali, urla e bandiere bruciate, emerge il ritratto animalesco della capitale d’Italia

Roma. I tassisti protestano contro gli ncc che protestano contro i tassisti che protestano contro i bus turistici che protestano contro il comune (e contro i tassisti e contro gli ncc). E ciascuno a Roma difende il suo spicchio di privilegio incivile, se non addirittura d’illegalità, perché gli ncc vogliono fare i tassisti ma senza le costose licenze dei tassisti, i tassisti sono sempre in guerra contro il mercato in difesa d’un monopolio, mentre gli autobus pretendono di poter fare a Roma quello che in nessun’altra città d’Europa è concesso, cioè entrare nel centro storico con mezzi lunghi fino a 12 metri e pesanti anche 200 tonnellate. Così ognuno esercita la rabbia dalla sua trincea, una rabbia rivolta contro altra rabbia. E tra blocchi stradali, urla e bandiere bruciate in piazza, emerge il ritratto animalesco della capitale d’Italia. 

   

Alle 10 del mattino Piazza Venezia è una rotonda soffocata e puzzolente, l’albero di Natale tenuto in piedi da quattro tiranti in acciaio inossidabile sembra un’astronave aliena posata in mezzo a un’incongrua autostrada. Tutti suonano il clacson, un elicottero della polizia sorvola il cielo, camionette di carabinieri in tenuta antisommossa si avvicinano con aria scoglionata mentre una cinquantina di autobus turistici fermi, uno accanto all’altro come elefanti, bloccano le automobili. Non è il solito caos da megalopoli del terzo mondo, della piccola, rumorosa e dolente Calcutta italiana chiamata Roma, ma è un blocco stradale, un paesaggio di violenza da black bloc, da gilet gialli del privilegio e dell’amatriciana.

  

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“Raggi scenni. Fatte vede”, urlano alcuni autisti con volti deformati dalla furia, “qua perdiamo tutti il lavoro. Non ci possono impedire di entrare nel centro”, dicono, mentre qualcuno, come fanno quelli dell’Isis, prende un accendino e si fa fotografare nell’atto di dare fuoco a una bandiera del Movimento cinque stelle, il partito del sindaco Virginia Raggi, che ha deliberato dal primo gennaio una civilissima chiusura del centro storico a questi bestioni della strada.

      

“Sts Ruggiero”, “Gioia bus”, “Europa coach travel”… Passarci in mezzo, a questi autobus fermi, significa diventare un bersaglio mobile dentro un reticolo di salsicce di lamiera mista a fumi, gas, esalazioni, e poi l’isteria, lo strepito e l’ira di tutti contro tutti: degli automobilisti, dei motorini, dei pedoni, persino dei mendicanti che espongono deformità fisiche, pure della zingara grassa col bastone che non riesce a passare e allora bestemmia in una lingua ignota. Anche i venditori ambulanti di cianfrusaglie, quelli che girellano intorno al Vittoriano in barba ai muscoli esibiti da Matteo Salvini, sono esasperati e nervosi. Un gruppo di turisti prova ad attraversare sulle strisce, tra Piazza Venezia e Piazza d’Aracoeli, ma ecco che uno sgusciante motociclista, facendo lo slalom attraverso questo tortuoso camminamento di guerra, quasi li investe. Poi, immerso nella bolla rancida di rabbia genericamente diffusa, quasi dispiaciuto di non averli ammazzati, urla: “Ma vedete d’andarvene a fanculo!”.

     

Se la palma di Sciascia saliva verso nord, a Roma è giunto il babà avariato, qualche mozzarella di bufala malcreata, una sorta di napoletaneria deteriore, una meridionalizzazione ma mostrificata, il caos come norma di un ordine indecifrabile – l’irriducibilità a ogni migliore intenzione da parte di piccole corporazioni che usano la città, e della città spesso abusano. Così a Roma, in un giovedì mattina qualsiasi, cioè oggi, le strade diventano ostaggio degli autobus turistici che vogliono piegare il comune al loro proprio interesse, e poi diventano ostaggio degli ncc che vogliono continuare a traghettare i turisti cinesi su furgoncini con licenze prese a Crotone o a Gela, e ancora prima sono ostaggio dei tassisti che sono mobilitati da due giorni, e alle 9 e 30, mentre già Piazza Venezia è un groviglio osceno, mettono in piedi una cagnara davanti al Senato della Repubblica. Quindi strombazzano i clacson e le sirene, mentre la gente cammina inciampando sulla strada riempita di croste, piaghe, buche e avvallamenti, sicché, su corso Rinascimento, che dovrebbe essere un salotto, quattro bottiglie e tre lattine tracimate dal solito cestino stracolmo d’immondizia abbandonata rotolano, vengono schiacciate, pestate, rincorse, come la famosa carrozzina della Corazzata Potemkin.

  

No, non è Calcutta, dove ormai probabilmente dicono “queste cose non succedono nemmeno a Roma”. E non è nemmeno Damasco o Karthum, una di quelle città che vivono in guerra e hanno nemici magari nascosti ma dichiarati, che subiscono l’assedio di terroristi e guerriglieri. A Roma si avverte il senso di fatica, di abbandono, la percezione di una prevalenza non tanto dei cretini metropolitani, ma dei furbi, di chi crede che nell’incuria la possibilità di farla franca sia maggiore di quella di pagare dazio. La prevalenza del prepotente, di una minoranza violenta che occupa una piazza, una strada, perché vuole imporre la sua volontà alla maggioranza. E tutto questo ribolle, s’aggroviglia in una matassa di risentimenti, per cui tutti ce l’hanno con tutti. Gli automobilisti con i pedoni, i pedoni con gli automobilisti, i tassisti con gli ncc, gli ncc con i tassisti, i tassisti con i bus turistici, e i bus turistici… Forse Venditti oggi nel suo concerto, al Palazzo dello Sport, dovrebbe cantare “Roma carogna / der monno ‘nfame”.

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  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi erasmiana a Nottingham. Un tirocinio in epoca universitaria al Corriere del Mezzogiorno (redazione di Bari), ho collaborato con Radiotre, Panorama e Raiuno. Lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.