I murales sulle case Ater di Tor Marancia, realizzati nell'ambito del progetto Big City Life (foto LaPresse)

“Ci vuole edilizia popolare. Ma il comune è sordo”, dicono i costruttori

Gianluca De Rosa

“Ci sono bandi vecchi nei cassetti dell’amministrazione, riprendiamoli. Lavoriamo insieme sul patrimonio pubblico inutilizzato e sulla rigenerazione”, spiega Nicolò Rebecchini, presidente dell’Acer

Roma. Quello all’abitare non è un diritto. Più che un postulato giuridico, questa è una constatazione di fatto. Nella Capitale 57 mila famiglie, quasi 200 mila persone, versano in situazioni di disagio abitativo, dodicimila nuclei familiari attendono che gli venga assegnato un alloggio popolare, lo stesso numero (ma attenzione, non le stesse persone) vivono nelle oltre 90 occupazioni abitative romane. A questi dati bisogna aggiungere i quasi 4 mila sfratti per morosità eseguiti ogni anno, le 7.500 persone senza fissa dimora e gli oltre 9 mila richiedenti asilo che vivono in città. Una marea umana. E senza casa.

  

“A tutelare il diritto all’abitare, che a differenza di quello di proprietà non è tutelato dall’ordinamento, deve essere la politica”, dice Nicolò Rebecchini, presidente dell’Acer, l’associazione romana dei costruttori edili, che ha presentato martedì al Tempio di Adriano questi dati allarmanti (elaborati da Cresme) e lanciato alcune proposte per affrontare il problema. “D’altronde – si chiede retoricamente – dopo la Sanità a che cosa deve pensare la politica regionale se non al diritto all’abitare?”.

 

“Eppure tutto è fermo”, attacca il presidente dell’Acer. E la responsabilità è, secondo lui, in buona parte della politica. Indistintamente di Regione e Comune.

 

Se c’è una parola che fa brillare gli occhi degli imprenditori edili, quella è Gescal. Il fondo pubblico per la costruzione di alloggi popolari, finanziato in percentuale dalle imprese e in parte dai lavoratori ai quali erano spesso destinati. La cancellazione del fondo e il trasferimento delle competenze sulle politiche abitative alle Regioni sono considerati l’origine di tutti i mali. “Soprattutto perché – spiega Rebecchini – per l’edilizia popolare e l’housing sociale in Regione oggi ci sono solo 40 milioni di euro di residui stanziamenti d’accordi di programma del 2000 e del 2001, e invece, servirebbero nuovi fondi”.

 

E se la Regione è colpevole di non stanziare le risorse, secondo i costruttori, in Campidoglio invece si sceglie di non scegliere. “Ci sono bandi vecchi che giacciono nei cassetti dell’amministrazione, riprendiamoli. E poi, lavoriamo insieme sul patrimonio pubblico inutilizzato e sulla rigenerazione, che è uno strumento eccezionale, ma va sfruttato”. Secondo il presidente dell’Acer, non è tempo di tentennamenti: “L’amministrazione su un tema così delicato deve fare proposte coraggiose. Bisogna mettere da parte le ideologie: se si deve fare del consumo di suolo, ovviamente solo dove già previsto e condiviso politicamente, lo si fa. Mettiamoci tutti intorno a un tavolo, perché questo è il momento delle decisioni”.

 

C’è però una cosa sulla quale politica e costruttori sembrano essere già in sintonia: la rimodulazione e l’efficientamento degli alloggi Ater (l’azienda territoria per l’edilizia residenziale pubblica): “Con la rimodulazione – sostine Rebecchini – si possono ricavare (diminuendo le metrature, ndr) nuovi alloggi da quelli già esistenti e attraverso l’efficientamento energetico questo può essere fatto solo in parte con fondi Ater”.

 

Che significa? Il presidente dell’Acer cita lo studio di rimodulazione elaborato dai costruttori sul complesso Morandi a Tor Sapienza: “Un’opera – dice Rebecchini – che costerebbe 22 milioni, ma che l’Ater potrebbe pagare solo 4 perché il resto è finanziabile con i fondi del Gse (il gestore dei servizi energetici). Si passerebbe da 500 a 756 appartamenti (+50 per cento), con un significativo abbattimento del consumo energetico (-24 per cento) e del fabbisogno termico (-62 per cento)”.

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