Nicolò Rebecchini e Virginia Raggi in un incontro dell'anno scorso a Roma. Foto Imagoeconomica

"Raggi pesi le parole. Non dica che gli imprenditori sono criminali"

Marianna Rizzini

Il presidente dei costruttori romani, Rebecchini, replica al sindaco che aveva parlato di collusioni con Mafia capitale

Roma. La Corte d’Appello di Roma riconosce l’associazione mafiosa nel processo “mondo di mezzo” (Mafia capitale), ribaltando la sentenza di primo grado, e il giorno stesso il sindaco di Roma Virginia Raggi dice che “la sentenza conferma la gravità” del modo in cui “il sodalizio tra imprenditoria criminale e una parte della politica corrotta ha devastato Roma” e conferma “che bisogna tenere la barra dritta sulla legalità”. “Imprenditoria criminale”, dunque. Ma che cosa rispondono gli imprenditori, velatamente accusati (un tanto al chilo) di collusione con le varie “suburre” di cui si nutre prima di tutto la sloganistica politica e poi l’immaginario mediatico sulla città su cui da anni pende il cartello infamante di “Mafia capitale”? Nicolò Rebecchini, presidente di Acer (costruttori romani), di fronte alla sentenza non esulta (pensando all’immagine di Roma e al nuovo fango metaforico che inevitabilmente verrà a depositarsi), ma di fronte alle parole del sindaco ancora meno si rallegra. Anzi: “Dispiace leggere certe cose”, dice Rebecchini, “dispiace vedersi accomunati ai ‘criminali’”, quando, da rappresentante di una larga fetta di imprenditoria cittadina, “si conoscono bene gli sforzi fatti in questi anni per dare un contributo alla rinascita di Roma, e in particolare negli ultimi due, offrendo numerosi spunti all’amministrazione, talvolta anche applicati dalla stessa”. “Bisognerebbe pesare le parole su argomenti così delicati, considerato che, a quattro anni dal deflagrare di ‘Mafia capitale’ – e dopo l’avvicendamento di due sindaci e vari assessori, non si è ancora verificato un cambio di passo rispetto all’idea di ripartenza della città. Quanto al grido ‘onestà-onestà, legalità-legalità’, penso che l’onestà e la legalità, al di là dello slogan, si dimostrino sul campo e nei fatti. Se non si fanno le cose, come si fa a verificare il grado di legalità?”.

  

Tra le cose fatte e non fatte, però, il rischio immobilismo si annida nelle pieghe della burocrazia elevata a muro anti-azione, un “pantano”, dice Rebecchini, “da cui non si può uscire ancorandosi a un ipotetico ‘rispetto delle regole’. Anche perché spesso non si tratta di rispetto delle regole, quanto di un rimandare a oltranza che può diventare alibi: se tutto resta bloccato per anni, se si diffonde l’idea che sia inutile agire perché ci si arena nei gironi burocratici e perché ‘tutti sono corrotti’, ci può essere chi, al primo cambio di amministrazione, tenta la via breve per scavalcare la regola: via breve che può a quel punto farsi anche illegale e/o amorale”.

  

La sentenza della Corte d’Appello su Mafia Capitale, secondo il presidente dei costruttori, “dovrebbe far scattare un nuovo senso di responsabilità nella classe politica, oltre che in quella imprenditoriale: si dovrebbe cioè avere voglia di dimostrare che Roma non è questo coacervo di comportamenti collusivi e corruttivi. Nessuno di noi auspica che si ripeta un caso ‘Mafia capitale’ in futuro: abbiamo dato disponibilità massima al confronto sul tema della trasparenza di appalti e gare. Poi una mattina ci si sveglia e, come due giorni fa, ci ritroviamo accomunati ai ‘criminali’”.

  

Fuori dalla retorica, c’è il problema del blocco degli appalti: “Esempio: non partono cantieri per gare bandite nel 2016 con fondi giubilari del 2015”, dice Rebecchini, “e ci sono faldoni di progetti urbanistici che giacciono nei cassetti da quindici anni, in uffici che hanno visto rotazioni infinite di amministratori e nessun cambiamento concreto riguardo allo snellimento delle procedure”. Oppure: “Nell’edilizia, ci sono situazioni in cui si aspetta un permesso da quattro anni e poi si deve ripartire da zero”.

  

“Non basta sparare slogan sulla legalità per dimostrare che le cose vanno avanti”, dice il presidente dei costruttori romani, “né si può fare appello alla competenza di chi dirige un progetto o un ufficio se poi si ferma tutto comunque. Se si vuole avere una collaborazione efficiente tra uffici e imprenditori, come si pensa di andare avanti se si demonizza l’imprenditore? Per ripartire non si può usare la procedura elefantiaca come scusante per l’inattività”.

  

E, all’indomani della frase non molto lusinghiera del sindaco sugli imprenditori, “detta magari a caldo dopo la sentenza su Mafia capitale”, i costruttori si augurano “che prevalga il buon senso. Specie presso chi, come il sindaco, è sì un politico, ma sopratutto è il primo cittadino di Roma, una città dove esiste un tessuto imprenditoriale forte, una città ora governata dal partito che ha fatto della battaglia anti-malaffare la sua bandiera. Ma il modo migliore per non cadere nel malaffare è agire e verificare via via. Il malaffare cresce nell’immobilismo. Il resto è propaganda”.

  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.