L'arena, vocazione del cinema romano. Con i camion dei Tredicine

Andrea Minuz

E' d’estate che nella capitale il cinema ritrova finalmente la sua vera vocazione, nelle strade, tra la gente, all’aria aperta

Nell’arena di Piazza Vittorio lo schermo si fa largo tra platani, cedri del Libano, magnolie, palme altissime come a Los Angeles, anche se intorno, sotto i portici, tutto un suk di cinesi, cingalesi, homeless nei cartoni, ubriaconi mezzi nudi buttati a terra come morti, pusher africani, turisti col gelato. Stasera danno “L’ora più buia”, con Gary Oldman che diventa Winston Churchill. Poca gente, troppo caldo anche per uscire (“la sera in piazza è ventilato”, dicevano, macché). Il film non riusciamo a seguirlo bene, le sedie sono scomodissime e dalla strada feroci ventate di piscio coi ventagli delle signore che le spandono nell’aria; poi il tram che sferraglia, un’ambulanza ogni venti minuti sopra i discorsi di Churchill; fanno tutto il giro della piazza prima di prendere via Emanuele Filiberto e giù a tutto gas, verso l’ospedale San Giovanni. Ma è il fascino dell’Esquilino. E’ il fascino dell’arena. Perché è d’estate che a Roma il cinema ritrova finalmente la sua vera vocazione, nelle strade, tra la gente, all’aria aperta, coi camion-bar di Tredicine. E’ l’estate romana. Qui a Piazza Vittorio ci sono due schermi più un chiosco gourmet che si chiama “Basilico”, niente cocomeri ma panini e pizzette con lievito madre, tipo “Bonci”. Di giorno invece l’arena si riempie per davvero. Si entra nella piazza e si approfitta della struttura perché qui le panchine sono rotte o le hanno rubate, e si capisce subito che la vera socialità la fanno tutte queste sedie all’aperto stese davanti allo schermo, mica il cinema. Poi verso sera, quando sta per aprire la biglietteria, tutti fuori.

 

Ogni anno, a fine giugno, quando devono ancora montare lo schermo e non si intravede neanche un cartellone, un programma, una pubblicità sul giornale, i romani del quartiere iniziano subito a pensare che stavolta è tutto finito, “le notti di cinema a Piazza Vittorio” non si fanno più, hanno tagliato i fondi, lo vedi Roma com’è, chiudono e non ti spiegano mai niente; poi però, all’ultimo momento, come per magia, arrivano i camion a montare lo schermo, arrivano tutte quelle sedie. C’è del vero. L’anno scorso, l’Anec (Associazione nazione esercenti cinematografici) disse in un comunicato che “considerati i costi onerosi, il mancato sostegno da parte di Roma Capitale e del I Municipio, gli oneri, il disavanzo di quarantamila euro, eccetera” gettava la spugna, abbandonava per sempre il cinema a Piazza Vittorio. Nessun sit-in, appello, raccolta firme. Eppure qui siamo in uno dei quadranti cinematografici della capitale (ci abitano Sorrentino, Garrone, Martone, Willem Dafoe, Abel Ferrara) ma forse non sta bene scendere in piazza per l’Anec; l’arena qui non è mica gratis come al Cinema America, un nome che riscalda i cuori, la madre di tutte le battaglie per un cinema più giusto, gratuito, “partecipato”, contro tutti i Multiplex, i multilevel parking, le speculazioni immobiliari.

 

Quest’anno le arene del Cinema America sono tre: a Trastevere (dove tutto è nato), al parco della Cervelletta, a Ostia. Ztl, wilderness di periferia, litorale. Il Cinema America come una città-stato. Un progetto nato dall’indignazione che ora vince tutti i bandi e fa i brindisi con la Siae. Nel frattempo è diventato un palco della politica, la risposta cinematografara al “meeting” di Rimini. Qui vengono tutti e tutti si fanno fotografare accanto al leader maximo, il ventiquattrenne Valerio Carocci, futuro dirigente di un Pd che ripartirà dalla base, simbolo dell’abbraccio tra le Istituzioni e la cultura dell’occupazione, uomo chiave nella trattativa stato-Pigneto (qui inteso come anima artistica, filmica e “libbera” della città). Quest’estate una parata di grandi ospiti sparsi sui tre palchi: Gigi Proietti, Asia Argento, Bellocchio, Luca Zingaretti, Scamarcio, Alba Rohrwacher, Matteo Garrone e Claudio Amendola che da Ostia reclamava “porti aperti” e lanciava la sfida a Salvini (“stiamo perdendo la nostra tradizione, siamo un popolo di mare, anche chi vive in Padania è un mezzo marinaio”, la famosa mozione “Milano Marittima”).

 

Anche se si parla sempre e solo del Cinema America a Roma le arene sono tante, troppe sostiene qualcuno. C’è l’arena di Torpignattara con rassegna a tema “rifugiati” e dj set “notti d’oriente”, l’arena della Garbatella, quella del Pigneto, l’arena di Villa Lazzaroni, c’è l’arena del Mibact, proprio davanti al ministero, dove d’estate fanno i film italiani che vi siete persi d’inverno, c’è il cinema ambulante-itinerante con l’ape rossa dell’“Archivio del Movimento Operaio”, c’è il “Gazometro sotto le stelle”, c’è un’arena tra le rovine dell’Appia Antica; qui un cinema assolutamente “d’autore”, anzi “archeologico”, con film muti sparati sulle rovine e musica live. Tanta Roma est, Roma sud, poco e niente Roma nord. A fine luglio si sa, lì sono tutti già a Sabaudia, all’Argentario, a Ponza in barca a vela. Però qualcosa c’è. L’arena del cinema “Tiziano” e soprattutto l’arena Balduina, che non la conosce nessuno e già solo le parole messe insieme, “arena” e “Balduina”, fanno un suono strano. La tengono aperta una settimana, forse ci vanno i filippini rimasti soli ad annaffiare le piante dei superattici, tra Monte Mario e Piazza Mazzini.

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