Trenta minuti di nulla tra Raggi e Salvini sui campi rom
Durante la conferenza stampa la tensione è palpabile. Le voci di ministro e sindaca si sovrappongono. Nelle interruzioni reciproche si percepisce una polemica silenziosa che va avanti da qualche tempo
Roma. Se ne parlava da settimane, Virginia Raggi avrebbe dovuto incontrare il ministro dell’Interno leghista Matteo Salvini. E non per un semplice appuntamento istituzionale, ma per una visita al Camping River, durante lo sgombero del primo campo rom chiuso dall’amministrazione capitolina a 5 stelle. Poi, però, martedì è arrivato il provvedimento d’urgenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo che ha sospeso l’ordinanza di sgombero della sindaca fino al 27 luglio. E in Campidoglio è calato il silenzio. Così si è ripiegato su un incontro lampo e una conferenza stampa, che in realtà (forse per volontà della sindaca o di Salvini) è rimasta in bilico fino all’ultimo minuto.
La sindaca arriva alle 12.30 e alle 13 è già, insieme a Salvini, in una sala del ministero per parlare con i giornalisti. Tira aria di frustrazione. Mezz’ora per parlare praticamente di qualsiasi cosa: dalla carta d’identità elettronica ai roghi tossici, passando per la mancanza di personale nel corpo della polizia locale fino ai beni sequestrati alle mafie. Salvini promette: “Non sarà Strasburgo a bloccare il ripristino della legalità nel Comune di Roma. E’ una corte curiosa. Ci mette alcuni anni per arrivare ad alcune sentenze e una manciata di minuti per altre decisioni”. E, in coro, sindaca e ministro garantiscono: “Il Comune ha risposto in ogni virgola alla Corte Europea. Tutto procederà da programma”.
Eppure la tensione è palpabile, tra i due. Le voci di ministro e sindaca si sovrappongono, le dita ticchettano sul tavolo. Nelle interruzioni reciproche si percepisce una polemica silenziosa che va avanti da qualche tempo. Pochi giorni fa Salvini aveva detto che “a Roma la situazione sui rom è un casino totale. Il mio obiettivo è arrivare a quota zero campi”. Raggi, aveva replicato seguendo l’antico principio del “ti do ragione per spiegarti che ho ragione”. Diceva la sindaca: “Sono d’accordo, i campi rom fanno vivere in condizioni pessime sia chi è dentro sia chi è fuori. Noi finalmente abbiamo messo le mani su questa situazione. Il nostro obiettivo è chiuderli favorendo l'integrazione. Diritti e doveri”. E la conferenza stampa ha seguito il medesimo spartito. Raggi ha ringraziato: “Il ministro si è dimostrato molto disponibile”. Poi però ha ricordato come lei, a Roma, il censimento nei campi lo abbia già fatto, e poi, velatamente, ha criticato il ‘metodo ruspa’ che ha contribuito a rendere celebre il segretario leghista. “Al ministro ho mostrato la cosidetta terza via, e cioè fermezza e accoglienza. Chi pensa che per chiudere o superare un campo ci vogliano due giorni o non conosce la situazione o è in malafede”. Subito il ministro le ha tolto la parola, sovrapponendosi: “Aggiungo che la politica non è sulla terza via, la quarta via, a me va bene anche la tredicesima, io sono contento di supportare qualsiasi via che faccia risparmiare i venticinque milioni di euro all’anno dei campi che sono un costo folle”.
Le parole di Raggi, intanto, provocano qualche sollevamento di sopraccigli, tra chi ascolta, se si pensa che per mesi la sindaca di Roma ha ricevuto dalle associazioni le stesse critiche. “Non bastano pochi mesi per chiudere un campo”.
A un certo punto, dalle parole di Raggi, stuzzicata dalla domanda di una giornalista, trapela forse più di un accento di frustrazione: “Se arriva un provvedimento dell’autorità giudiziaria non si possono mettere 450 persone in strada con donne e bambini”. E la domanda a quel punto sorge spontanea: e invece senza il provvedimento del giudice europeo? Su questo sia lei sia Salvini sembrerebbero d’accordo: sì. L’intento, sembrano voler dire entrambi, è comune. Chi sia più bravo a chiudere i campi, invece, non si sa. In attesa di capirlo, per fortuna o purtroppo, nessuno sgombero e nessuna chiusura.
Roma Capoccia - Odo romani far festa