Virginia Raggi e Luigi Di Maio (foto LaPresse)

Il Tavolo Calenda per Roma adesso si chiama Tavolo Di Maio

Valerio Valentini

Qualche modifica alle slide dell’ex ministro dello Sviluppo e molte diffidenze tra Raggi e il neoministro del M5s

Roma. Da un lato c’è la sindaca, sempre più in crisi di consensi e perfino, talvolta, di nervi. Dall’altro un ministro dello Sviluppo economico che ha bisogno come il pane di cose più o meno futuribili da poter annunciare, nel perenne affanno d’inseguire Salvini, e mille preoccupazioni per la giunta torinese – ieri è andato sotto la Mole – in bilico di Chiara Appendino. E insomma, a vederla così, si direbbe che il “Tavolo per Roma” sarebbe un soluzione necessaria a entrambi: la sindaca e il ministro, Raggi e Di Maio. Non fosse, tuttavia, che entrambi, pur essendo dello stesso partito, si parlano poco e si sopportano, ultimamente, ancora meno.

 

Sia come sia, è un fatto che quello che fu il Piano Calenda, elaborato dal predecessore di Luigi Di Maio per rilanciare le sciagurate sorti di una città al collasso, verrà recuperato. Cambiandogli nome, come del resto impone la legge del marketing applicata al Governo del Cambiamento. “Correzione però non solo lessicale”, spiegano nell’entourage dimaiesco, “ché Luigi non può riprendere pari pari il dossier di Calenda”. Anche perché, questo è il non detto nel ragionamento dei grandi capi grillini, ci esporrebbe alle facili critiche di quelli che “allora non lo volevate fare solo perché era un piano del Pd”.

 

Al Campidoglio, in ogni caso, restano alla finestra. “Non spetta a noi l’iniziativa: Luigi sa che sono qui”, ripete Virginia Raggi in questi giorni. E lo ripete a quanti, tra i suoi consiglieri, la spronano a invitare il capo politico grillino a sedersi intorno a un tavolo, in comune, e avviare la pratica. “I trasporti e i rifiuti sono i temi più delicati, e quelli su cui più è necessaria una sinergia tra enti diversi”, spiegano i grillini dell’Aula Giulio Cesare, lasciando intendere che sono stati proprio i due assessori competenti, a inizio settimana, a chiedere lumi alla sindaca. D’altronde, per Linda Meleo e Pinuccia Montanari, l’avvio del Tavolo potrebbe essere anche un buon espediente per riscattare la loro immagine pubblica, piuttosto appannata. Ma non è un mistero che anche Carlo Cafarotti, pur nel suo tradizionale riserbo, abbia spiegato quanto importante sarebbe per le materie di cui si occupa nella giunta – turismo, lavoro e sviluppo economico – la ripresa del piano.

 

Ci vorrà tempo, però. “Per ora non si muove nulla in tal senso”, dicono i tecnici del Mise, ammettendo che “la situazione è bella confusa”. Il dossier, comunque, è stato “accantonato, non certo archiviato”. E, quando sarà, si ripartirà da quelle cinquantuno slide pubblicate da Calenda lo scorso novembre: trenta progetti, per un totale di 1,6 miliardi di euro, che però restarono solo sulla carta. In pratica, l’idea dell’allora ministro si tradusse in una eterna sfida mediatica tra il Mise e il Campidgolio: un po’ perché la sindaca, non a caso definita “una turista per caso”, temeva una sorta di commissariamento di fatto; un po’ perché perfino nel Pd l’accoglienza del Piano non fu esattamente entusiasta, condizionata più che altro dai sospetti sulle ambizioni dello stesso Calenda. Tutti ostacoli che ora, stando alla logica, verrebbero meno. Anche perché, sfibrata dalle vicende giudiziarie e da un sostegno sempre più barcollante anche da parte del suo gruppo consiliare, la Raggi vedrebbe nell’apertura del Tavolo con un “governo amico” una possibile via di salvezza. Non solo mediatica. “L’impegno di Di Maio – spiega un consigliere grillino – starebbe lì a dimostrare che c’è davvero interesse, da parte del M5s, di investire su Roma anche in termini di consensi e credibilità, com’è stato in passato”. E come, ma questo il consigliere evita di dirlo, non è più da tempo.