Quello che resta della corona di fiori offerta da Lotito alla sinagoga

Lotito e la Sinagoga

Massimo Solani

Ecco com’è che i ragazzi della comunità ebraica hanno gettato nel Tevere i fiori del presidente laziale

Roma. “Abbiamo ripulito un muro che era stato oggetto di uno show mediatico. Dopo aver sentito quelle parole la corona lì non poteva restarci e si è deciso di dare una risposta”.

 

I fiori bianchi e azzurri deposti martedì in tutta fretta dal presidente della Lazio Claudio Lotito dopo l’esplosione del caso degli adesivi con il volto di Anna Frank sulla maglia della Roma ieri mattina presto non c’erano già più davanti alla sinagoga di Roma. Erano finiti sull’argine del Tevere, gettati via a marcare la distanza fra la comunità ebraica e il presidente della Lazio quando in città era ormai circolato l’audio rubato in cui Lotito, lunedì sera, sbottava organizzando la “sceneggiata”.

  

 

“Il rabbino sta a New York. Er vice-rabbino ci sarà?”, chiedeva. E poi: “Non valgono un ca.... questi. Hai capito come stamo? Famo sta sceneggiata”. Per questo ieri mattina, fra i vicoli del ghetto, la rivendicazione del gesto compiuto da alcuni ragazzi della comunità era sostanzialmente unanime, per quanto rigorosamente anonima. E a nulla è servita la smentita del presidente laziale all’audio diffuso dal Messaggero e la seguente minaccia di querele. Quelle parole, infatti, sono state la goccia che ha fatto traboccare il vaso dopo le tensioni che già martedì erano covate appena sotto la superficie dell’iniziativa di Lotito. Il gelo della comunità, infatti, era stato più che evidente.

 

“Abbiamo saputo della decisione di venire qua con una delegazione della squadra soltanto dalle agenzie di stampa – spiega una fonte della comunità – la società ha avvertito i giornalisti, ma non noi. Non hanno voluto chiedere informazioni sul protocollo, sono arrivati addirittura a spostare le corone di fiori che erano state deposte il 16 ottobre per commemorare l’anniversario del rastrellamento del ghetto per mettere quella della società al centro. La comunità aveva fatto presente che serviva una iniziativa più concreta – continua la fonte – la Lazio invece ha preferito uno show sgradevole ben sapendo che il giorno dopo sarebbe tutto finito. E poi quelle parole…”. Del resto il rabbino capo Riccardo Di Segni l’aveva detto chiaramente già martedì, senza riuscire a trattenere il fastidio. “La comunità non è una lavatrice, né un luogo dove si presenta un omaggio floreale e si risolve tutto. Non si può pensare di aggiustare le cose facendo un'apparizione davanti ad una marea di giornalisti”. Una sceneggiata, appunto.

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