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Bell'economy a Roma: turisti in ciabatte e abusivismo

Gianluca De Rosa

Inchiesta tra i commercianti e gli albergatori della Capitale: “Ci fosse un turista che spende due lire”. Intanto Boston e Basilea ci doppiano

Quando entriamo nel grande negozio di scarpe, proprio all’inizio di via del Corso, ci accolgono due signore intente a rassettare il posto. “Vuole sapere qualcosa sui saldi, le chiamo Franco” ci dicono prima di urlare: “Francooooo!”. Il signor Trastulli Franco, 58 anni, è un uomo alto, magro ed elegante. Camicia a righe e una parlantina da vecchio commerciante romano: “Siamo qui dal 1976 e un anno come questo veramente non c’è mai stato. Peggio di sempre, anche se, devo dirlo, il peggioramento è stato progressivo”. La sua clientela è cambiata nel tempo: “I romani qui non ci vengono più: tra comizi, scioperi e mezzi che non vanno… ma come si fa?”. “Per questo da un decennio campiamo con i turisti, ma anche loro – ci spiega – non sono più gli stessi di qualche anno fa”. “Prima veniva il russo o l’americano e spendeva una valanga di quattrini, oggi entrano con la bustarella de plastica con l’acqua minerale dentro, lo zainetto in spalla, e non spendono niente, tanto ormai le scarpe italiane le vendono in tutto il mondo”. Il turista low cost, o come lo chiamano ormai i commercianti, il “turista bottiglietta”, è in città il più grande nemico anche degli albergatori, o meglio, il nemico è chi lo ospita: “In questi ultimi anni a Roma la recettività extra alberghiera è cresciuta in maniera spropositata, parliamo di affitti brevi e case vacanze. Su Air Bnb ci sono circa 25 mila inserzionisti, ognuno potrebbe avere uno o più appartamenti”, spiega Giuseppe Roscioli, presidente di FederAlberghi Roma, che poi sottolinea: “Il Comune ha emesso autorizzazioni per 8.800. Quindi fra queste due cifre, c’è tutto il sommerso, che ovviamente, non pagando Iva, tassa di soggiorno, e il resto ha offerte molto basse”. “E’ questo – accusa Roscioli – ad aver attirato una serie di viaggiatori low cost e che stanno trasformando Roma in una metà, anche questa, low cost”. Anche se il problema, forse, non è nella presenza del turimo low cost – che è comunque economia – ma nell’incapacità di Roma di attrarre il turismo di lusso (la città non ha grandi fiere, e non ha nemmeno un albergo a sei stelle). Tuttavia, spiega Roscioli, più il turismo “dei poveri” si riversa nell’Urbe e più “avremo pizza al taglio al posto dei ristoranti e minimarket che invadono la città. Così invece di chi viene per mangiare al ristorante, ci ritroviamo persone che si abbuffano di panini a piazza di Spagna e poi si lavano nella fontana di Trevi”. Per Roscioli (che è un albergatore) l’azienda di San Francisco, Air Bnb, è il male, la molla che sta cambiando il volto del nostro centro storico: “Con questa valanga di case in affitto in centro tutti i residenti se ne sono andati, per cui anche i commercianti che avevano attività verso di loro, dalla merceria al barbiere, sono scomparsi. Hanno chiuso. E al posto loro sono venuti negozi di souvenir, cineserie e pizze al taglio”. Anche se forse la risposta ad Air Bnb non è il luddismo, ma la costruzione di una politica del turismo.

 

Ma certo internet ha modificato le abitudini dei consumatori, anche per quanto riguarda il commercio. Se i negozianti al dettaglio calano nell’ultimo anno del 18 per cento – secondo i dati della Camera di Commercio di Roma – quelli che vendono online sono aumentati del 68,1 per cento. Intanto, però, da gennaio, hanno chiuso 600 negozi, che si aggiungono ai 2000 dell’anno passato. E fra i commercianti c’è anche chi ha fatto concorrenza sleale con la pratica dei presaldi, sulla quale, pare, i vigili abbiano latitato nei controlli. Fatto sta che – secondo le stime della Confesercenti – in questi primi giorni di saldi il crollo a Roma, complice anche il caldo, è stato del 20 per cento rispetto allo scorso anno.

 

In un negozietto di vestiti e accessori per signore, c’è anche chi se la prende con l’ambulantato: “E’ chiaro se non c’è un euro nelle tasche, il vestitino te lo compri al banchetto qui di fronte” dice Cristina, 56 anni, titolare insieme al marito del negozio “Collage” in via Cola di Rienzo. Ma se l’ambulantato (aumentato quest’anno del 28,7 per cento) è un problema romano, di certo non lo è per la concorrenza al commercio tradizionale. Il vero guaio lo spiega Massimiliano De Toma, presidente di Federmoda Lazio: “Il problema non sono gli ambulanti, che hanno il sacrosanto diritto di lavorare, ma le postazioni a rotazione. Molte sono in luoghi che potevano andare bene venti, trent’anni fa, ma oggi fanno un danno al decoro. Senza contare che alcuni, infrangendo le regole sull’occupazione di suolo pubblico e del codice della strada, creano anche un problema di sicurezza”. 

 

Certo capire se sia Roma a essere schiava di un’economia che esiste, ma è un po’ stracciona, o sono i turisti a esserlo diventato è difficile. E’ nato prima l’uovo o la gallina?

 

Low cost non sono di certo quelli che comprano a via Condotti, gente che le bottigliette di plastica non le ha, perché l’acqua la beve in vetro. Le grandi firme non fanno saldi: non lì fa Gucci per il primo anno, e non li ha mai fatti Louis Vuitton: “è una politica aziendale”. Prada e Armani, invece, in controtendenza, li praticano, come dicono le scritte piccole piccole esposte sulle vetrine esterne “Saldi disponibili all’interno” tradotto in 4 lingue, tra le quali il cinese. La cosa impressionante è proprio questa: la clientela di questi negozi, un tempo regno di ricchi russi e americani, oggi è composta da asiatici: “Cinesi e coreani principalmente”, ci spiegano alternando le parole pronunciate le due eleganti e sobrie signorine, mora e bionda, che lavorano da Prada. “Entrano anche i turisti con la bottiglietta, non comprano nulla, ma a noi fa piacere comunque” ci dice un’impeccabilesignore, pelata e occhiali, che fa l’accoglienza da Armani.

 

Comunque, sembra che gli asiatici siano davvero la nuova frontiera del turismo ricco, al punto che in quasi tutti questi negozi di lusso c’è almeno una commessa che viene dall’Oriente.

 

Questi ricchi o almeno alto-medio borghesi d’Asia, ma anche quelli di Russia e d’America, sono l’obiettivo di commercianti e albergatori. Come ci spiega anche Roscioli: “In questi giorni uscirà il comunicato stampa della nascita del Roma Convention Bureau, un ufficio dove le istituzione, Comune e Regione, insieme alle principali associazioni di categoria cercheranno d’attirare a Roma i grandi congressi e i grandi eventi”. “Solo questo – sostiene Roscioli - è il modo per aumentare la quota del turismo di lusso”. Il senso è semplice: far rimanere qualche giorno in più i partecipanti al congresso, magari con le famiglie, dormendo negli alberghi e mangiando nei ristoranti romani. Forse non basta, ma è qualcosa. Già ai tempi della campagna elettorale per le elezioni poi vinte da Virginia Raggi, Alfio Marchini aveva messo giù una serie di proposte per sviluppare il settore del turismo di lusso, quello che spende, quel segmento di mercato turistico che per esempio riescono ad attrarre città come Boston, che ogni hanno organizza la fiera internazionale del libro antico. Diceva Marchini al Foglio, nel 2015: “Il turismo più ricco qui non viene da anni preferendo Basilea per l’antiquariato o Boston per i libri. A Londra i turisti spendono, escluso il dormire, una cifra intorno ai 18-20 dollari al giorno. A Barcellona ne spendono 11. A Roma soltanto 5. Ci vogliono idee”, diceva Marchini. E poi cos’è successo?

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