Di Juan M Romero - Opera propria, CC BY-SA 4.0, via Wikipedia

Vesperbild

Maurizio Crippa

La storia delle Pietà prima di Michelangelo ci dice qualcosa di prezioso anche sull’Europa di oggi

Tra le tante mostre blockbuster della stagione, ce n’è anche una piccola, e gratuita, ma che vale la pena non perdere. Non soltanto perché è in un luogo che spesso anche i milanesi trascurano, l’ex Ospedale Spagnolo al Castello Sforzesco, che invece sta tornando, restauro dopo restauro – a maggio 2019 riapre la Sala delle Asse, con i gelsi disegnati da Leonardo – uno snodo importante della cultura in città. E non soltanto perché lì, nello stesso Ospedale, c’è il nuovo museo che ospita da tre anni la Pietà Rondanini. Ma perché la mostra, con quel capolavoro del vecchissimo artita, ha un certo grado, seppure lontano, di parentela.

 

La mostra si intitola “Vesperbild-Alle origini delle Pietà di Michelangelo”, ma non della Rondanini si tratta, bensì della Pietà Vaticana, qui rappresentata da una copia in calco proveniente da Roma. “Vesperbild significa letteralmente ‘immagine del vespro’ perché rievoca il momento in cui al tramonto del Venerdì Santo il corpo di Cristo deposto dalla croce è in attesa di sepoltura”, ci viene spiegato. L’episodio non è narrato nei Vangeli, ma l’immagine del Figlio morto in grembo alla Madre è divenuto da molti secoli un topos decisivo dell’arte sacra. E dopo l’arte sacra, nell’epoca della secolarizzazione, anche un riferimento iconografico universale di qualsiasi dolore innocente e materno. Ma questo tipo di rappresentazione, racconta la mostra, sorge tardi, nell’autunno del Medioevo e all’alba dell’età moderna con la sua nuova sensibilità religiosa e umanistica. I primi Vesperbild vengono realizzati infatti nella valle del Reno, la culla della cultura nord e centro europea, a inizio Trecento, grazie all’influenza di una certa corrente di misticismo domenicano presente tra Germania e Francia che insisteva sulla meditazione spirituale attorno alla Passione. Sono statue e dipinti di piccole dimensioni, che nascono quasi sempre per la devozione privata ed esprimono una nuova sensibilità, molto intima, nel rapporto con il Dio Sofferente e la sua (umanissima) Madre. Un’iconografia drammatica, sulle prime, che poi si addolcisce man mano che si trapassa verso il Rinascimento e che si scivola a sud, oltre le Alpi e giù per lo Stivale. Sì, perché questa piccola storia dei Vesperbild ha anche questo aspetto interessante. In un’epoca in cui riflettiamo spesso sulle perdute radici cristiane e culturali comuni dell’Europa, e in cui qua e là i simboli religiosi riemergono ma soltanto come segni identitari, strumenti di una rozza teologia politica, riscoprire nel nostro passato un humus di sensibilità comune, che attraversava le frontiere, non è indifferente.

Nel suo percorso delimitato, la mostra permette di riflettere su un’Europa che era frammentata – e che ci immaginiamo giustamente piena di guerre e di dazi – ma che era invece molto più unitaria che “nazionalista” nel modo di sentire e nella circolazione delle idee, dei manufatti culturali e delle persone: molti dei Vesperbild di produzione italiana in mostra sono opere realizzate su commissione da illustri personaggi stranieri, per lo più mercanti e uomini d’affari, che vivevano nelle nostre città. La stessa Pietà Vaticana fu del resto commissionata dal cardinale francese Jean de Bilhères, ambasciatore di Carlo VIII presso il Papa, e rispecchia la sensibilità devozionale e iconografica d’Oltralpe. E Michelangelo, sicuramente, aveva visto e tratto ispirazione da quelle che in Italia già si chiamavano “Pietà”, prodotte a Bologna e nei circoli della “officina ferrarese” di Cosmé Tura (c’è una sua piccola tavola, strepitosa). Perché dal Brennero la diffusione dei Vesperbild arriva presto nel Veneto (c’è una Madonna in trono di Giovanni Bellini con un bambino dormiente in grembo: ma quel bambino non sembra dormiente, ha un volto quasi adulto e una postura che ricorda una Deposizione) e poi giù verso la Toscana. Ma prima di arrivare a Michelangelo si passa da queste opere d’arte a tratti commoventi di cui colpisce, lontani dalla perfezione delle proporzioni michelangiolesche, che quasi sempre il corpo del Cristo morto è molto più grande, imponente, di quello della Madre. E non per imperizia degli artisti. Poi il vecchio Michelangelo rivoluzionerà tutto, nella Pietà Rondanini: Ma questa è un’altra storia, che sta lì a pochi metri.

 

La mostra, promossa dal Comune di Milano e curata da Antonio Mazzotta e Claudio Salsi, è breve ma ricca di prestiti importanti internazionali, oltre a gioielli poco noti provenienti dall’Italia, dal Vecchietta a Francesco del Cossa fino a una minuscola Pietà di Vittore Carpaccio, oggi in collezione privata, che viene esposta al pubblico per la prima volta.

 

Al Castello Sforzesco, fino al 13 gennaio 2019, ingresso libero.

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  • Maurizio Crippa
  • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

    E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"