In nome dei rider

Maurizio Crippa

Una bicicletta gialla, l’icona della campagna sindacale per i contratti dei ciclisti di Foodora & Co

Città piatta nella pianura piatta, Milano è città ideale per andare in bicicletta. O almeno lo era, ai tempi di Gigi Lamera, che abitava dietro Baggio. Poi la congestione del traffico ha reso desueto il mezzo, finché la nuova cultura dell’ecologia e della smart city (nonché una certa mitologizzazione del vivere green) hanno riportato in auge il mezzo, e messo in cima alle priorità dei sindaci la realizzazione di piste ciclabili e il lancio dei servizi di bike sharing. Non che i risultati siano eclatanti, Milano non è Amsterdam e nemmeno Berlino, ma per gli standard italiani noi milanesi siamo un popolo di pedalatori. Soltanto che – mescolato ai signori in grisaglia e biciclettona BikeMi sotto il culo che sfrecciano di mattina, e alle sciure con l’insalata bio nel cestino – pedala anche un altro esercito. Non di invisibili, hanno segni di riconoscimento fluorescenti, ma un eservito di non contrattualizzati. Sono i circa tremila rider, i fattorini dei pasti, che secondo le stime lavorano in città per le piattaforme digitali come Deliveroo o Foodora. Smartphone, app e caschetto, il ciclismo è diventato da tempo una piattaforma di lavoro ultra-flessibile, i rider pedalano per le consegne senza alcun inquadramento contrattuale. Sono diventati ormai un elemento riconoscibile del paesaggio urbano, e anche un’icona – soprattutto in Italia – della precarizzazione del lavoro.Se non dello sfruttamento propriamente detto.

 

In quanto “icone”, la Filt-Cgil di Milano (la Federazione italiana lavoratori trasporti) hanno avuto un’idea facile e felice nel trasformare in icona il loro oggetto di lavoro. Da ieri una bicicletta gialla corredata dagli strumenti di lavoro (sacca in colore vistoso, scarpe altrettanto e caschetto) è esposta sulla piazzetta di fronte al grande palazzo in mattoni rossi della Camera del Lavoro. E’ l’istallazione che fa da richiamo per una “campagna di sensibilizzazione” lanciata dal sindacato verso i lavoratori (scopo: renderli coscienti dei propri diritti e sindacalizzarli) e nei confronti delle piattaforme digitali che utilizzano il loro lavoro. C’è da dire che, mentre all’estero le vertenze e gli scioperi dei rider sono frequenti ma puntano più che altro al miglioramento delle paghe (effettivamente da fame) o ad ottenere condizioni assicurative, in Italia la questione viene affrontata nel consueto quadro di legislazione del lavoro. Così da marzo, anche se non molti lo sanno, i rider sono stati inseriti nel Contratto nazionale del trasporto merci e della logistica. Dunque devono lavorare con un contratto, flessibile quanto si voglia, ma contratto. Così Filt-Cgil invierà “una lettera alle piattaforme Just-it, Deliveroo e Foodora per chiedere un incontro formale con le organizzazioni firmatarie del contratto nazionale”. E Luca Stanzione, segretario generale della Filt milanese, proclama: “Non ci sono più scuse per le aziende. E’ arrivato il tempo di una legge nazionale che perimetri l’azione di queste piattaforme e restituisca dignità al lavoro”. Vasto programma, si direbbe, perché lo scontro titanico è esattamente sulla definizione di “lavoro” e su quella della sua “dignità”. Ma al di là dei proclami, e dei risultati reali che saranno ottenuti, che nella città dell’immagine e del design possano diventare icone visibili, attraverso il loro strumento di lavoro, i rider che ci portano la cena è un bel gesto. Iconico.

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  • Maurizio Crippa
  • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

    E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"