Roberto Maroni e Giuseppe Sala (foto LaPresse)

Cosa insegna di buono il "modello Ema", anche se l'Italia ha perso

Maurizio Crippa

Il pesante non ritorno economico, il lavoro bipartisan e il soft power messo in campo, il comparto industriale

Milano. Quando a Parigi la sera del 31 marzo 2008 Milano aveva strappato per un pugno di voti a Smirne l’organizzazione dell’Expo 2015 si accesero le luci nei palazzi della politica, molti cittadini festeggiarono per strada e anche parecchi esponenti politici e della società civile, che avevano remato malmostosamente contro, si affrettarono a saltare sul carro del sindaco Letizia Moratti, che aveva condotto la battaglia in molta solitudine e tra molto pessimismo. Lunedì sera alle 18 e 15 a Bruxelles un sorteggio ha stabilito che l’Agenzia europea del farmaco, che traslocherà dalla Londra della Brexit, andrà ad Amsterdam, dopo che al primo turno del complesso sistema di votazioni la candidatura italiana aveva ottenuto 25 voti contro i 20 della città olandese e di Copenaghen ed era stata in vantaggio, 12 a 9 e a 5, anche nel secondo turno. Aggrapparsi alla sfortuna, ha un sapore che svanisce in un minuto. Ripetersi che la partita è stata ben giocata, e ai punti la vittoria sarebbe spettata a Milano, è legittimo ma non aggiunge altro. “Che beffa!”, è stato il primo tweet del premier Paolo Gentiloni, “veramente un po’ assurdo essere esclusi perché si pesca da un bussolotto. Tutto regolare ma non normale”, il primo commento del sindaco Beppe Sala. “E’ il paradigma di un’Europa che non sa decidere”, quello del presidente Roberto Maroni. Il mancato ritorno economico dell’arrivo di Ema al Pirellone è stimato in circa un un miliardo e mezzo di euro o più, calcolando l’indotto. E’ evidente che sia sfumato un positivo volano per la ricerca scientifica milanese e per il comparto farmaceutico e chimico a livello nazionale, che pure non subirà tracolli dall’esito del sorteggio. 

  

Come ha sottolineato il presidente di Farmindustria, Massimo Scaccabarozzi: “L’Italia ha dimostrato di conquistare il gradino più alto del podio per la valutazione di merito”. Ma è andata così.

 

Vale più la pena chiedersi cosa sia cambiato, e nel caso in positivo, dal 2008 di Expo a oggi, e vedere cosa invece non ha eventualmente funzionato. La squadra guidata allora dal sindaco Moratti, con appoggio altalenante dei governi, si trovò a combattere praticamente da sola, nell’indifferenza e nell’ostilità del paese e della stessa città. Inoltre, al momento della candidatura, il dossier di presentazione di Milano era molto indietro e quasi aleatorio. Anche negli anni successivi l’impresa Expo si trovò più volte sballottata da contrapposti interessi politici. Questa volta il dossier Milano – scientifico-industriale e di appeal complessivo – era eccellente, come dimostrano i voti. E soprattutto il sistema Italia ha travasato il meglio di sé in un “metodo Ema” inedito ma significativo, per un paese in cui c’è chi dice no alle Olimpiadi per partito preso. Il sindaco Beppe Sala e il presidente Bobo Maroni hanno lavorato in modo leale e bipartisan; il governo ha messo in campo, anche se forse con un po’ di ritardo, risorse e un team adeguato guidato da Enzo Moavero Milanesi, dal ministro Beatrice Lorenzin e dal sottosegretario agli Affari europei Sandro Gozi; imprenditoria e associazioni hanno messo a disposizione il loro soft-power, la diplomazia informale e la cabina di regia tra istituzioni e i big dell’industria privata con Diana Bracco ha fatto il suo lavoro. Una settimana fa, all’inaugurazione del campus universitario di Humanitas (altra eccellenza italiana) c’erano il presidente Mattarella, Maria Elena Boschi, Carlo Calenda, Carlo Bonomi di Assolombarda. Hanno approfittato dell’evento per recapitare in Europa un messaggio che si è sentito chiaro anche a Berlino. Si appanna comunque un po’ l’“effetto Expo” e, politicamente, quel “modello Milano” che, tra riformismo e collaborazione oltre gli schieramenti politici, rimane un fiore all’occhiello della sinistra che, tuttora, guida il paese. Considerazione non solo locale, su cui toccherà ritornare.

 

Ma la vera questione da tener presente è che si trattava di una partita europea, complicata. Lunedì, molto più a sorpresa, è stata bocciata, al primo turno di votazioni la candidatura di Francoforte per l’Eba, l’Autorità bancaria europea, che andrà a Parigi. La Germania aveva a lungo sostenuto la Slovacchia per l’Agenzia del farmaco, col chiaro intento di favorire con un’attribuzione comunitaria pesante il burrascoso “fronte est” europeo. La manovra forse non ha pagato, ma soprattutto Berlino scopre con dispetto di non avere più in mano tutte le carte europee. Le delegazioni italiane hanno toccato, e guadagnato, undici paesi tra cui Portogallo, Malta, Grecia, Cipro, Polonia, Bulgaria, Estonia, Slovenia. Ma forse rimane una riflessione politica da fare, sul fatto se il “fronte dell’est” recalcitra, il “fronte del Mediterraneo” rimane più una parola che una forza compatta. Sfortuna a parte, il doppio segnale giunto lunedì da Bruxelles è quello di un’Europa in ordine sparso, divisa. L’Italia, in questo quadro, non può far altro che rafforzare la sua consapevolezza di dover imparare sempre di più a fare squadra.

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  • Maurizio Crippa
  • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

    E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"