Aldo Giovanni e Giacomo (foto LaPresse)

Storia veritiera, milanesissima e popolare di Aldo Giovanni e Giacomo. In un libro

Maurizio Crippa

Il trio è un genere difficile in comicità, perché spariglia. Ma è divino per definizione perché trova un equilibrio solo nell’armonia

Testimonianza di Paolo Guerra, allora manager di gente come Paolo Rossi, Jannacci, Paolo Handel, oggi socio: “Gino e Michele sostenevano che i tre erano incapaci a teatro, e peggio ancora in televisione”. Gino e Michele: l’altra faccia più satirica, a quei tempi ancora politica, della risata milanese. Dopo venticinque anni avranno senz’altro fatto ammenda, e i tre non hanno rancori. Ma c’è in quel piccolo aneddoto qualcosa che spiega la cifra della comicità di Aldo Giovanni e Giacomo, la sua marca “popolare” e dunque la tenuta temporale del loro successo. Una comicità teatrale, sì, e di linguaggio realista, non satirico, con irreversibile tendenza al nonsense (loro direbbero pura idiozia, forse) di cui “Tafazzi”, finito nello Zingarelli, è il grado zero di pura pagliacceria. Una storia di comicità milanesissima, ma particolare nella gloriosa storia del cabaret milanese. Lo è per la partenza dal basso, umile, il successo lento, il repertorio messo insieme e in anni di gavetta semi-dilettantesca e semi-professionale. Il successo arrivato quasi fuori tempo massimo quando – passati da un pezzo i trenta – molti altri avrebbero già mollato.

 

 

Una storia che inizia in provincia, al Caffé Teatro di Maurizio Castiglioni a Verghera. Un posto nato nel 1985, un anno prima dello Zelig di viale Monza a Milano, e per così dire il suo incubatore: lì hanno iniziato Antonio Albanese, Raul Cremona, il Mago Forrest. Se vi chiede perché alla fine degli Ottanta una vena di comicità surreale venisse proprio dal Varesotto, si vede che non avente mai letto Piero Chiara, e non sapete da dove vengono Cochi e Renato. Soprattutto non sapete che a Vergara c’era la sezione del Pci in cui mosse i primi passi politici Umberto Bossi. C’è un vent fou che soffia dal Varesotto e sconvolge Milano. E’ una costante storica.

 


Aldo, Giovanni e Giacomo (foto LaPresse)


 

Il trio è un genere difficile in comicità, perché spariglia. Ma è divino per definizione perché trova un equilibrio solo nell’armonia. Non c’è nessun motivo di marketing editoriale, nessuna retorica logica, per scrivere a caratteri cubitali in una pagina di un libro autobiografico e celebrativo: “Forse è proprio a causa di quelle difficoltà e di quelle sofferenze che la nostra AMICIZIA è diventata così forte”. Ma è la storia veritiera di quei tre.

 

Provincia, popolo, gavetta. Oltre che passione: quella che dopo qualche spettacolino ti porta a fare gli autisti per Felice Andreasi, un maestro, e riportarlo a casa di notte in Piemonte. Alla fine degli anni Ottanta Aldo e Giovanni avevano avuto qualche bell’ingaggio con Pippo Baudo, ma erano destinati a una carriera da riserve in serie B, o da Ciriaco Sforza quando passò dall’Inter, direbbero loro. Giacomo aveva lasciato un tranquillo posto da infermiere caposala all’ospedale di Legnano per un ingaggio in una compagnia di rapido fallimento. Per campare lavoricchiava da un dentista a Gallarate. Aldo Baglio e Giovanni Storti si chiamavano “I Suggestionabili”. Giacomo Poretti e Marina Massironi erano “Hansel e Strudel”. Poco di promettente. Giovanni, moglie e figli, insegnava acrobatica all’accademia del Paolo Grassi. Aldo lavorava alla Stipel. Non erano ancora insieme, si conobbero a inizio anni Novanta in un villaggio turistico di Cala Gonone, Sardegna. Poi ancora gavetta. E la tv di Rai3 con Su la testa! di Paolo Rossi. Fino a uno strano spettacolo-provino a Cesenatico. Dove forse per disperazione tirano fuori gli sketch e i bozzetti di repertorio messi da parte in anni e anni di sogni e piccolo cabotaggio.

 



 

Hanno debuttato la seconda domenica di novembre del 1991 a Verghera di Samarate con uno spettacolo dal titolo “Galline vecchie fan buon Brothers”. Poi la cifra di un teatro fatto di “Corti”, ma cifra di teatro vero: il regista di tutti i loro spettacoli è un signore che si chiama Arturo Brachetti. La tournée del venticinquesimo, lo scorso anno, è stata un trionfo, e soprattutto la certificazione di una comicità trans-generazionale, semplice e visiva, più che di parola. E ancora, molto milanese: “La nostra è comunque una comicità molto milanese, che viene da una storia particolare, quella del Derby prima e dello Zelig poi”, dicono. L’incontro a Mai dire gol con la Gialappa’s è l’altra svolta, la tv, ed è una storia anche quella tutta milanese: loro avevano iniziato a Radio Popolare, a Mediaset erano arrivati con i Mondiali del 90. L’offerta a Mai dire gol fu di 280 mila lire lorde, in tre, a puntata.

 



 

Il libro di Aldo Giovanni e Giacomo “Tre uomini e una vita - la nostra (vera) storia raccontata per la prima volta”, curato da Michele Brambilla (Mondadori) è – a parte queste zigzaganti annotazioni milanocentriche – un bel libro sulla storia della comicità. Non solo a Milano.

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  • Maurizio Crippa
  • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

    E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"