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La crisi amplia le divergenze in Europa. Un pericolo per tutti

Pier Carlo Padoan

 Lo schema Rilancio. Conti pubblici, lavoro, reti: che cosa può fare l’Unione, che cosa deve fare l’Italia per non restare indietro

Nel presentare le previsioni di primavera, la Commissione europea ha espresso la preoccupazione, poi ribadita dal commissario all’Economia Gentiloni, che la crisi pandemica potrebbe accentuare le divergenze all’interno dell’Unione europea mettendo a rischio lo stesso Mercato unico. Non sarebbe una cosa di cui meravigliarsi. L’evidenza empirica dice che, nell’Unione europea, nei periodi di crisi le divergenze in termini di reddito, tra regioni, tra nazioni, aumentano. C’è da aspettarsi che la crisi da Covid-19 produca effetti analoghi alle crisi precedenti, ma di intensità assai maggiore.

 

La divergenza riflette differenze “di fondo” tra paesi, differenze che influenzeranno sia l’esposizione (asimmetrica) dei paesi allo choc (simmetrico) della pandemia, sia la capacità di reazione dei paesi quindi l’efficacia delle misure di reazione alla crisi e contro il rischio di “restare indietro”. Tra i “fattori di fondo” ricordiamo innanzitutto lo spazio di bilancio e il livello del debito pubblico. Tanto più ampio lo spazio (e più basso il debito) tanto maggiore l’ammontare di risorse disponibili per fronteggiare le crisi, tanto minore il rischio di divergenza. Un secondo fattore riguarda la specializzazione produttiva. La crisi sta mostrando la diversa vulnerabilità dei settori produttivi alle misure di lockdown. La vulnerabilità è più elevata nei settori ad alta intensità di personale e a basso contenuto di lavoro da remoto (come il turismo o la ristorazione). La crisi invece migliora le prospettive di settori in cui lo smart working può sostituire il servizio “in presenza”, o fornisce servizi in rete, perché ne aumenta la domanda. Un terzo fattore “di fondo” riguarda l’efficienza del settore della Pubblica amministrazione e/o del sistema finanziario, ambedue decisivi nel trasferire agli utenti finali – imprese, lavoratori, famiglie – le risorse messe a disposizione dallo stato. Tanto maggiore la semplicità e la rapidità dei procedimenti amministrativi per gestire le risorse, cioè tanto minore la burocrazia, tanto minori i danni provocati dal lockdown (danni che possono essere permanenti). Mettendo tutto assieme (e molti altri fattori potrebbero essere introdotti) non è difficile immaginare che quando la crisi sarà passata si troveranno in migliori condizioni paesi con bilanci più solidi, con minor debito, con maggiore dotazione di nuove tecnologie per lavoratore, con minor burocrazia. Saranno paesi in grado di crescere più rapidamente di altri. Mentre gli altri rischieranno di trovarsi ancora “più indietro”. E non è difficile immaginare di quali paesi si stia parlando. Ma tutto ciò solleva un altro aspetto. Per l’Europa un aumento delle divergenze comporta un fortissimo rischio di frammentazione che minerebbe alla base non solo l’Eurozona, ma anche il mercato interno, i fondamenti economici del processo di integrazione. Ecco perché un aumento della divergenza è un fattore negativo non solo per i paesi in ritardo ma anche per i paesi all’avanguardia. Ecco perché sono necessarie politiche europee per combattere non solo la recessione ma anche la divergenza. Anzi, per combattere la recessione anche attraverso una maggiore convergenza. C’è da augurarsi che i nuovi strumenti che l’Europa sta mettendo in campo, in primo luogo il Recovery fund, tengano questa dimensione ben presente.

 

Ma forse un insegnamento ancora più rilevante che possiamo trarre dalla crisi Covid-19 è che oltre alla convergenza l’Europa ha bisogno di più integrazione. E questa riguarda in primo luogo lo sviluppo delle reti. La crisi pandemica ha assegnato energicamente un nuovo ruolo alle tecnologie digitali. E da ciò discende che occorre un vero mercato interno digitale per massimizzare i benefici del lavoro da remoto (i cui benefici, secondo un recente rapporto del Parlamento europeo, ammonterebbero all’1,2 per cento all’anno del pil dell’Unione europea). Questo richiede un quadro normativo condiviso, investimenti nelle infrastrutture di sostegno, diffusione capillare delle competenze, a cominciare dalle scuole, per evitare la più insopportabile delle divergenze. Quella che comporta un aumento della diseguaglianza.

 

Nel frattempo la politica è chiamata a gestire l’emergenza e ad aprire la strada per la ripresa. In particolare in un paese a rischio di restare indietro come l’Italia. E’ questo il messaggio centrale del dl “Rilancio” approvato dal Cdm. Si tratta di un intervento che, per usare un linguaggio calcistico, deve mettere in piedi una difesa “a catenaccio” contro l’impatto di un avversario ferocissimo e violento ma allo stesso tempo preparare il “contropiede”. E lo deve fare tenendo presente tre aspetti: 1) le misure devono interessare tutta la popolazione (nessuno deve rimanere indietro); 2) la velocità di implementazione deve essere di gran lunga più elevata di quanto avvenuto fin qui per i decreti precedenti. Più il tempo passa più profonde saranno le ferite; 3) la ripresa non potrà veramente avviarsi fin quando, in aggiunta ai provvedimenti di spesa, non sarà completata l’uscita dal lockdown, che rappresenta la seconda gamba della strategia.