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Tristi Risorgimenti

Guido Ceronetti

Lo spleen di Gustavo Modena, l’impossibilità di un’idea del politico, la stanza nuziale d’una straniera.

Il più gaio dei musicisti – a ragione amatissimo da Schopenhauer – fu un uomo afflitto da uno spleen incirabile: la cavatina del Barbiere e lo stupefacente dialogo dei gatti, i piatti golosi, sono frutto del “male oscuro” rossiniano.

 

E questo che segue è un pensiero di un grande rappresentante repubblicano del Risorgimento, Gustavo Modena, da appena due anni uscito dal ghetto grazie allo Statuto albertino:

 

“Stimo qui inutile di scrivere. E poi, per scrivere bisogna sperare e credere; ed io non ispero nulla e non credo gli uomini di Europa suscettibili di far nulla di bene… Vada il mondo come sa andare, io penso che ormai ho pochi anni da vivere in mezzo a queste pecore. Ho l’anima in cenere, e vorrei vedere l’universo in cenere. Se non avessi la moglie e i guai, sarei in viaggio per l’America, o ritirato in una solitudine tra le montagne. Ti prego dunque di non contar mai su di me né per scrivere né per agire. Contami molto. Addio, Giulia ti saluta”.

Gustavo Modena, Lettera a Giovanni Grillenzoni,  Torino, 19 settembre 1850

 


 

Venticinque anni fa:

 

“La possibilità di entrare in contatto col pensiero un certo numero di politici l’avrebbero, ma l’Informazione li cerca per togliergliela. Limitando moltissimo apparizioni e dichiarazioni pubbliche, potrebbero friggersi in solitudine tre o quattro pensieri di vera filosofia e farsi un’idea della realtà in cui spendono l’esistenza senza renderla migliore a nessuno. Perché gli manca essenzialmente la presa mentale sulle cose. Gli manca crudelmente l’intelligenza del com’è, la fisica banale del presente visto un poco dall’alto e circolarmente. Basterebbe rendersi conto che non stanno così le cose, che le parole da loro emesse non corrispondono a nulla. Peggiore di ogni corruzione morale è l’incapacità di afferrare un’idea che non somigli ad un melenso luogo comune”.

Il f.i.

 


 

Una migrante molto lungimirante:

 

“E io, in un paese straniero, avrò il nome di schiava.
In cambio dell’Asia che abbandono
avrò la stanza nuziale della morte:
l’Europa”.

 

Euripide, “Ecuba”, versione di Umberto Albini

 

Il filosofo ignoto

 

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