Pietro Castellitto al Festival del cinema di Venezia (Ansa) 

preghiera

Il romanzo iperrealista di Pietro Castellitto è una faticaccia, ma istruttiva

Camillo Langone

Ci si mette tanto a leggerlo, iperveloce e iperenfatico, con tanti personaggi e tanti marchi da cercare su Google. E troppa droga. Ma se ne ricava una preziosa lista dei ristoranti da evitare a Roma

Ci ho messo molto tempo a leggerlo, il romanzo iperrealista di Pietro Castellitto (“Gli iperborei”, Bompiani), perché mi causava tachicardia e ho dovuto prenderlo a piccole dosi: iperveloce, iperenfatico, ipercinematografico, con troppi personaggi che si agitano troppo, troppi marchi da cercare su Google e troppissima droga con la continua sensazione, molto fastidiosa per chi come me disprezza cocaina e cocainomani, che potesse trasmettersi per contatto dalla pagina ai polpastrelli e da lì entrare in circolo. In compenso adesso ho il nome dei cappelli da donna più belli (Maison Michel) e la lista nera dei ristoranti romani: “Roscioli. Champagne. Alici del Cantabrico. Burro alla vaniglia. Patanegra. Burrata”; “Chiamo il Caminetto, pasta al ragù bianco e pollo al curry”; “- O altrimenti il Bolognese, fanno i gamberi col curry…”; “- Ottavio? - Pieno di cinesi…”; “L’Acquolina? - Ma sei frocio?”.

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  • Camillo Langone
  • Vive tra Parma e Trani. Scrive sui giornali e pubblica libri: l'ultimo è "La ragazza immortale" (La nave di Teseo).