Mona e villici. I federalisti veneti secondo Oliviero Toscani

Camillo Langone

L’antierotico e borioso fotografo di Benetton, col solito razzismo degli antirazzisti, per insultare gli indipendentisti li chiama contadini

Allora è proprio vero che il referendum l’ha perso Luciano Benetton, imprenditore veneto-antiveneto capace di costruirsi una collezione d’arte senza pagare gli artisti, dunque un’eccezione di prepotenza e classismo nella regione italiana con meno disuguaglianza economica (dati Ocse 2015, Istat 2016). Ha perso lo slogan “United colors of Benetton”, pura anticultura nel suo scaraventare i dati di natura addosso agli esiti storici e religiosi, se il suo mefistofelico artefice, Oliviero Toscani, oggi si scaglia contro i federalisti e, col solito razzismo degli antirazzisti, per insultarli li chiama contadini. Oltre che villici, milioni di veneti sono secondo lui dei mona. Capisco che quest’ultima parola possa infastidire chi ha contribuito al crollo demografico esaltando i baci di Sodoma sui muri della nazione. E capisco che oggi lodare il Veneto disturbi chiunque provi ripugnanza per la realtà. Capisco tutto e però la mano mi corre irresistibilmente allo scaffale dove tengo le poesie di Giorgio Baffo, cantore veneziano della mona che sapeva darsi del mona (“Mi fazzo i Sonetti, e i altri fotte”), insomma l’esatto contrario dell’antierotico e borioso fotografo di Benetton. 

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  • Camillo Langone
  • Vive tra Parma e Trani. Scrive sui giornali e pubblica libri: l'ultimo è "La ragazza immortale" (La nave di Teseo).