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l'editoriale del direttore
Nuova legge elettorale, il romanzo dell'estate di Meloni e Schlein
Nonostante i precedenti poco incoraggianti, il centrodestra si sta attrezzando per un sistema che gli consenta la riconferma. L’indicazione del candidato premier che unisce le due leader, il premio di coalizione, la soglia di sbarramento: indizi di una riforma
La vita sotto l’ombrellone, in estate, è fatta di chiacchiere leggere, lo sappiamo, è dominata da notizie non impegnative, è animata da argomenti non troppo divisivi, e tendenzialmente, quando si può, quando si prova a staccare, la politica resta un rumore di fondo, un fruscio distante, un’onda che accarezza uno scoglio lontano. La vita sotto l’ombrellone, in politica, è una vita fatta di chiacchiere leggere, quando si può, ma l’argomento che dominerà l’estate che ci ritroviamo davanti, e che ci salta addosso, come direbbe Lorenzo Jovanotti, è un argomento che troverete poco sotto gli ombrelloni che frequenterete, e poco anche sulle pagine dei giornali, ma è l’argomento più dibattuto, dalla politica, fuori e dentro le aule parlamentari. Penserete: ma certo, è la guerra! Macché. Aggiungerete: ma certo, come ho fatto a non pensarci prima, è il riarmo! Macché. Direte: ma certo, che sciocchi, è il rapporto con Trump! No, ancora fuori strada. Sotto gli ombrelloni della politica, quest’estate, si parlerà quasi esclusivamente di un tema teoricamente respingente per tutti coloro che non amano la politica ma strategicamente cruciale per tutti coloro che fanno politica.
Due parole, non svenite: legge elettorale.
Per provare a rendere accattivante questa storia, questo romanzo poco leggero ma molto estivo, vi offriremo tre chiavi di lettura. Primo: una notizia. Secondo: una simulazione. Terzo: un problema. La notizia riguarda la ciccia della questione. Si parla di una nuova legge elettorale, ma di quale legge elettorale si sta parlando? Una fonte vicina ai vertici di Palazzo Chigi ha confermato al Foglio il seguente schema di gioco. La nuova legge elettorale eliminerà i collegi uninominali (collegi cioè dove eleggi un solo deputato/senatore: chi prende un voto in più si aggiudica il seggio), introdurrà un premio di coalizione per i partiti che si presenteranno insieme (che scatterà tra il 40 e il 42 per cento), introdurrà una soglia di sbarramento per i partiti che si presenteranno simmetrica a quella che vi è alle europee (4 per cento) e potrebbe anche scegliere di utilizzare le preferenze (ma chissà).
Questa è la ciccia, e la notizia, e lo spunto ulteriore è che questa legge, pur essendo gradita anche al Pd, è una legge che passerà con i voti del centrodestra.
Secondo punto: la simulazione. Si dirà: ma perché il centrodestra che ha stravinto le elezioni con questa legge elettorale vuole cambiare schema di gioco? Risposta semplice, e spiazzante. Perché il centrodestra crede nella possibilità di un campo largo più di quanto forse non creda il centrosinistra. E perché sulla base di un semplice ragionamento matematico, razionale ma chissà se non fallace, considera l’attuale legge elettorale un rischio per il futuro del centrodestra. Il tema è presto spiegato. Il centrosinistra, nel 2022, ha scelto di presentarsi diviso alle urne. In questo modo, ha dato la possibilità al centrodestra di vincere le elezioni grazie alla conquista praticamente totale dei collegi uninominali (alla Camera 121 su 147, al Senato 56 su 63) che hanno permesso al centrodestra di diventare maggioranza in Parlamento pur non essendolo nel paese (la somma dei voti raccolta dai partiti di centrosinistra nel 2022 fu grosso modo simile a quella raccolta dai partiti di centrodestra). Oggi però il centrodestra è convinto – a ragione – che il centrosinistra non commetterà più quell’errore (al campo largo Meloni crede più di quanto possa crederci buona parte dell’elettorato del centrosinistra) e con un centrosinistra compatto la ripartizione dei collegi con questa legge elettorale potrebbe non essere così vantaggiosa (specie al sud, dove la forza del centrosinistra in alcune regioni potrebbe spingere il centrodestra a perdere seggi importanti, cosa che potrebbe non accadere invece con una ripartizione dei voti in tutta Italia). E dunque, nuova legge sia. Con un dettaglio in più. La nuova legge piace a Meloni anche perché permetterebbe di misurare il valore reale dei suoi alleati dopo le elezioni e non prima (un conto è distribuire i collegi, litigando, sulla base della proiezione di sondaggi discrezionali, un altro è farlo, non litigando, sulla base di un meccanismo automatico, dopo le elezioni) e anche perché permetterebbe di dare qualche speranza di rappresentanza anche a un eventuale centro (che potrebbe tornare utile anche nella maggioranza futura se vi fossero degli alleati troppo estremisti). Ma la nuova legge elettorale piacerebbe anche a Schlein perché introdurrebbe un meccanismo “bipolarista” gradito tanto al capo del governo quanto a quello dell’opposizione: l’indicazione del candidato premier. Schlein vuole che sia chiaro da prima delle elezioni chi sarà il candidato premier, nel centrosinistra, e in questo ha un alleato prezioso in Matteo Renzi, mentre il resto della coalizione, e buona parte del Pd, vorrebbe che l’indicazione fosse solo come quella di oggi: ogni partito esprime il suo leader, poi se la coalizione vince bene il leader del primo partito dovrebbe diventare premier, se la vittoria non è netta invece si apre il valzer delle trattative, e chissà come può finire.
Il terzo elemento interessante, che potrebbe offrire spunti utili anche per le conversazioni diverse da quelle che si svolgono sotto gli ombrelloni della politica, riguarda una tendenza ineluttabile della vita parlamentare. E la questione è semplice. La storia delle leggi elettorali italiane degli ultimi trent’anni dimostra che nessuna legge ha salvato chi l’ha voluta e dimostra che ogni volta che una maggioranza di governo ha provato a cambiare la legge elettorale alla fine la legge elettorale nuova ha agevolato la vittoria degli avversari. Nel 2005, il Porcellum, voluto dal centrodestra, portò alla vittoria del centrosinistra di Romano Prodi. Nel 2017, il Rosatellum, voluto dal centrosinistra, portò alla vittoria del centrodestra di Giorgia Meloni. L’illusione di modellare il sistema a proprio vantaggio si è sempre infranta contro la variabilità del consenso, la fragilità delle leadership, e l’imprevedibilità degli elettori. Ma il fatto che nonostante questa regola il centrodestra si stia attrezzando per cercare un modo per non perdere le prossime elezioni ci ricorda che due anni sono lunghi, che in due anni molto può cambiare, che in due anni il consenso può trasformarsi e che in fondo oggi il centrodestra crede alla possibilità di una vittoria del centrosinistra più di quanto non ci creda lo stesso centrosinistra. Il tema c’è: nessun governo, nella storia della Seconda Repubblica, è stato riconfermato, al secondo giro. Ma la questione è anche questa: un governo in carica si è mai ritrovato di fronte a un’opposizione come quella che si candida a guidare l’Italia?