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Il quorum delle idee

Sul referendum cade l'argine alla riformabilità della "Costituzione più bella del mondo". I suggerimenti di Barbera

Maurizio Crippa

Il dibattito sul futuro del referendum abrogativo si riaccende tra proposte di abbassare il quorum e aumentare le firme. Secondo il giurista serve un ripensamento più profondo dello strumento. Si deve superare l’attuale impasse riscoprendo l’idea originaria di Mortati: diversi tipi di consultazione, più adatti ai tempi e alla società di oggi

Una delle cose più belle del mondo, quando si parla della Costituzione più bella del mondo, è che essendo la più bella del mondo è anatema osare cambiarla, nessuna riforma ci riesce, se non in casi di maggioranze parlamentari blindatissime, e se ci riesce poi un referendum la seppellirà. Eppure il tabù cade (almeno nella teoria) nel caso si tratti di modificare lo statuto del referendum così come lo vollero i Padri. Che per alcuni non è mai stato bello, e di certo non funziona più. Allora via libera alle idee. Dopo i commentatori, a ridosso del previsto flop, ieri ne hanno parlato in interviste il presidente della Consulta, Giovanni Amoroso, che apre all’abbassamento del quorum, e il presidente emerito della stessa Corte, Augusto Barbera, il quale ha proposto alcune osservazioni acute e che liberano un poco il campo dalla polarizzazione: togli il quorum, alza le firme


Che con gli attuali e futuri trend di affluenza al voto l’istituto referendario abrogativo abbia poco o nessun senso – anche se la scelta dell’astensionismo “attivo” è lecitamente costituzionale, e non mina la democrazia: lo svilimento della democrazia viene semmai dall’astensionismo nelle tornate elettorali, diverso problema – è l’ovvio. Ci sono molte altre cose volute dai Padri costituenti che non funzionano da tempo, ma se ne parla meno, e tra mille caveat. Sul referendum analisti e politologi hanno invece rotto gli indugi. Tra gli altri, con argomentazioni ampie, ad esempio il politologo Roberto D’Alimonte, che sul Sole 24 Ore ha scritto: “E’ ora di fare i conti con la realtà. Il referendum abrogativo, così come è congegnato, oggi non funziona più”. Ha ricordato il tema della affluenza alle urne: “E’ dal 1987 che alle politiche sta calando ininterrottamente con una notevole accelerazione negli ultimi quindici anni. E lo stesso vale per comunali e regionali. E non c’è da illudersi che il trend possa cambiare a breve. In questo contesto – spiega – la soglia del 50 per cento configura oggi un netto vantaggio per chi non vuole cambiare le norme oggetto dei referendum, cioè i sostenitori del no”. Sostiene dunque D’Alimonte: “Per rivitalizzare lo strumento referendario va cambiata la soglia. In altri paesi non esiste soglia e basta la maggioranza relativa dei voti per decidere. Non è necessario adottare questa opzione radicale. Il rischio di referendum senza soglia è quello di mettere in mano troppo potere a minoranze organizzate. Basta diminuire la soglia al 40”


Antonio Polito sul Corriere della Sera è stato drastico: “Il referendum, strumento di democrazia diretta voluto dai nostri costituenti seppure con molte prudenze, è da tempo gravemente malato” e il primo problema “è di rendere di nuovo competitiva questa consultazione, di darle un po’ di suspense”. E questo, suggerisce, “si può ottenere solo alzando il numero di firme necessarie per convocarli: darebbe loro più credibilità. Ma dall’altro lato bisogna abbassare il quorum”. Più firme e meno quorum, su questo ci si divide (tra i partiti). Ma tutti sanno che si rischia la fine dell’asino di Buridano: “Non si può cancellarlo, come chiede una legge di iniziativa popolare proprio ieri annunciata – scrive Polito – perché altrimenti diventiamo la Svizzera o la piattaforma Rousseau, e contraddiciamo la Costituzione: il quorum è necessario per evitare che una minoranza attiva cancelli leggi votate dalla maggioranza del Parlamento, che rappresenta tutti gli italiani”. 


Intervistato dal Corriere, ieri il presidente della Corte costituzionale Giovanni Amoroso ha detto: “Il referendum è sempre un esercizio di democrazia, quale che sia il suo esito” e dunque è un istituto che va sempre difeso “per aver contribuito negli anni alla crescita del paese”. Per salvarlo, ipotizza Amoroso, “si potrebbe abbassare il quorum, ma ci vorrebbe una legge costituzionale che, per bilanciare ciò, dovrebbe anche innalzare il numero di firme necessarie per proporre il quesito referendario. Si tratta di uno strumento di democrazia diretta molto delicato, sul quale eventuali interventi andrebbero ben ponderati, magari in un contesto di riforma costituzionale”. Dunque, a smentire le fazioni che vorrebbero chi l’abolizione del quorum e chi invece un innalzamento himalayano della base popolare per richiederlo, la forbice si allarga per Amoroso in un dilemma molto difficilmente risolvibile. 


A questo proposito appaiono come sempre illuminanti le osservazioni del predecessore di Amoroso alla Corte costituzionale, Augusto Barbera, intervistato dalla Stampa. In cui inizia riflettendo, a proposito della vexata quaestio sul fine vita, su una via parlamentare già sperimentata ai tempi della legge sull’aborto: “Nel 1975 ci fu una sentenza apripista della Corte sull’interruzione di maternità”, ma ne seguì un dibattito serrato, di oltre due anni: “Tutti in quella legislatura diedero il loro apporto: democristiani e comunisti, laici e cattolici. Fu trovato un punto di equilibrio. E quell’equilibrio regge ancora”.

A proposito dei referendum, invece, anche Barbera ammette che “è giunto il momento di modificare la Costituzione per ripensare a fondo lo strumento”. E offre un’indicazione che potrebbe rivelarsi utile, a patto di voler uscire dagli aut-aut obbligati. Dice Barbera che “si dovrebbe ripartire da Costantino Mortati”, fra i maggiori giuristi e costituzionalisti italiani eletto deputato nel 1946 per la Democrazia cristiana: “Alla Costituente propose un ampio ventaglio di referendum: abrogativo, propositivo e consultivo”. Una visione più complessiva dello strumento. Invece, dice il presidente emerito, “vedo un confuso chiacchiericcio. Alzare il numero delle firme? Abbassare il quorum? Non seguirei né l’una né l’altra strada”.

Anche perché “tutti i parametri sono saltati. E’ finita la stagione romantica di quando raccoglievamo le firme in piazza sotto i gazebo. Quanto al quorum, bisogna stare cauti perché trattandosi di referendum abrogativi bisogna pur sempre rispettare la decisione del Parlamento”. Dunque “bisognerebbe risalire a monte”, spiega, cioè a Mortati che aveva suggerito di prevedere diversi tipi di consultazione, “abrogativi, preventivi, promossi dallo stesso Parlamento, consultivi su punti specifici e così via”.  Ma “nel complessivo spirito antimaggioritario” di quell’epoca si optò soltanto, per reciproche paure, per il modello abrogativo. Oggi invece è necessario ripensare a quella scelta, non limitandosi però a un taglia-e-cuci, lascia intendere Barbera, ma avendo il coraggio di domandarsi a che cosa possa servire lo strumento popolare, “dal basso”, dei referendum in una società cambiata anche nei meccanismi di formazione dell’opinione e della partecipazione, per non ridurlo definitivamente a uno strumento tattico di lotta politica. 

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  • Maurizio Crippa
  • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

    E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"