Il futuro dell'Europa

No ai cambiamenti radicali. Per von der Leyen il rapporto Draghi non è esistenziale

David Carretta

La presidente della Commissione sembra considerare le indicazioni dell'ex premier italiano come un menù del ristorante da cui scegliere i piatti che preferisce. Oggi ne ha indicati tre: puntare sul greentech, lavorare sulle competenze, rafforzare la catena di approvvigionamento industriale. Il senso d’urgenza non è condiviso

Un piano di investimenti da 800 miliardi di euro l’anno da finanziare attraverso debito comune europeo, una nuova strategia industriale per l’Europa che si è lanciata nella doppia transizione climatica e digitale e deve riarmarsi per assicurare la sua difesa, una modifica delle vecchie regole che governano il mercato dell’energia o gli aiuti di stato, e una profonda riforma del modo di funzionare dell’Unione europea: Mario Draghi ha raccomandato “cambiamenti radicali” ai leader nel suo rapporto sul futuro della competitività europea. L’ex presidente della Bce ed ex primo ministro italiano non ha risparmiato appelli e toni drammatici per difendere la sua rivoluzione nell’Ue. “Fatela o è una lenta agonia”, ha detto Draghi. Non fare nulla, significa “diventare più poveri ogni anno”. L’Europa sarebbe schiacciata dagli Stati Uniti e dalla Cina: “Una sfida esistenziale”. “Siamo arrivati al punto in cui, se non agiamo, saremo costretti a compromettere il nostro benessere, il nostro ambiente o la nostra libertà”, ha avvertito Draghi. Ma il senso d’urgenza non è condiviso. Ursula von der Leyen, presidente della Commissione che si prepara al secondo mandato di cinque anni, ha ringraziato Draghi.


Ha anche promesso che alcune idee faranno parte del suo programma, ma di fatto ha rifiutato le scelte difficili preconizzate nel rapporto. A cominciare dalla proposta di usare emissioni di titoli sicuri comuni (common safe asset) per finanziare una parte degli 800 miliardi di investimenti l’anno.

Per gli standard di Bruxelles, il rapporto Draghi preconizza un cambio di paradigma, infrangendo molti tabù e politiche consolidate dell’Ue. I tre ambiti di azione suggeriti sono “sforzi collettivi per colmare il divario in materia di innovazione con gli Stati Uniti e la Cina” (in particolare le tecnologie avanzate); “un piano congiunto per la decarbonizzazione e la competitività”; e una strategia per “aumentare la sicurezza e ridurre le dipendenze”. La lista delle raccomandazioni dirompenti è lunga: riformare il mercato dell’energia per disaccoppiare i prezzi delle rinnovabili da quelli degli idrocarburi e permettere ai consumatori di sentire i benefici della transizione climatica; allentare le regole sulla concorrenza per consentire il consolidamento del mercato in settori chiave; integrare i mercati dei capitali centralizzando la supervisione; utilizzare gli acquisti congiunti nel settore del gas e degli armamenti; adottare una nuova agenda commerciale per garantire l’indipendenza economica; procedere a una vasta opera di sburocratizzazione e deregolamentazione. Le politiche dell’Ue devono essere “allineate” e “focalizzate” sugli obiettivi, ha insistito Draghi.  Il problema dei soldi, tuttavia, rimane centrale. Gli investimenti privati da soli non basteranno, nemmeno quando il mercato dei capitali sarà completato. “Per digitalizzare e decarbonizzare l’economia e aumentare la nostra capacità di difesa, la quota di investimenti in Europa dovrà aumentare di circa 5 punti percentuali sul pil, raggiungendo livelli osservati l’ultima volta negli anni 60 e 70”, spiega Draghi nella prefazione del suo rapporto. “Si tratta di una situazione senza precedenti: per fare un confronto, gli investimenti aggiuntivi forniti dal Piano Marshall tra il 1948 e il 1951 ammontavano annualmente a circa l’1-2 per cento del pil”. Di qui la raccomandazione di un “titolo sicuro comune”, usando come modello a cui ispirarsi il debito comune di Next Generation Eu. Con le cautele del caso: “L’emissione di questi titoli su base più sistematica richiederebbe una serie di regole fiscali più stringenti che assicurino che un aumento nel debito comune sia accompagnato da un percorso più sostenibile del debito nazionale”, dice il rapporto.

Per Ursula von der Leyen il rapporto Draghi non è esistenziale. La presidente della Commissione sembra considerarlo come un menù del ristorante da cui scegliere i piatti che preferisce. Oggi ne ha indicati tre: puntare sul greentech, lavorare sulle competenze, rafforzare la catena di approvvigionamento industriale. Von der Leyen ha anche confermato che nominerà un commissario alla Difesa (anche se si occuperà solo di industria della Difesa). Le raccomandazioni di Draghi che sono consensuali tra i ventisette stati membri si possono prendere. Le altre vanno lasciate nel cassetto. Come il debito comune. “Saranno necessari finanziamenti comuni per alcuni progetti comuni europei”, ha ammesso von der Leyen in conferenza stampa al fianco di Draghi. Ma, una volta concordati gli obiettivi comuni, dovranno essere finanziati con “contributi nazionali e risorse proprie”, ha precisato von der Leyen. Cioè gli strumenti già previsti dal tradizionale bilancio dell’Ue, che ammonta ad appena l’1 per cento del pil. Anche il ministro tedesco delle Finanze, Christian Lindner, ha subito detto “no” al debito comune per la competitività dell’Ue. Le scelte coraggiose possono aspettare la prossima crisi. “Dovremmo abbandonare l’illusione che solo procrastinare possa preservare il consenso. Anzi, la procrastinazione non ha prodotto altro che una crescita più lenta, e di certo non ha generato più consenso”, ha avvertito Draghi in quella che appare come un’espressione di sfiducia nei confronti di von der Leyen. 
 

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