
un futuro per i progressisti
La sinistra di fronte al progetto putiniano di dominio globale
Dalla Russia all’Iran alla Cina si consolida un nuovo polo illiberale e autocratico, mentre l’atlantismo è ferito. Quanto reggerà in Italia questa destra occidentalizzata? E la sinistra come potrà cercare l’alternanza senza farsi strumento di quel progetto?
Tutti sanno che la vera vittoria di Putin non è l’acquisto territoriale in Ucraina, il bullismo neoimperiale e neosovietico verso gli europei dell’est (e dell’ovest), l’invasione cibernetica e spionistica dell’occidente in attesa dell’amico Trump (e eventualmente del giovane di scuderia Bardella), la delineazione di un modello di autocrazia plebiscitaria e di controllo totalitario della Russia, tutto questo non è poco, ovvio, ma sarebbe poco se non si fosse consolidato da Orbán ai mullah di Teheran, da Xi Jinping a Erdogan (?), un nuovo polo illiberale che aspira a una posizione dominante, di superpotenza globale. Si continua a pensare che sia un colosso dai piedi d’argilla, perché l’economia cinese ha le sue esigenze globaliste e Putin nel contesto è trainante ma non leader. Eppure l’atlantismo è ferito, se a morte si vedrà dalle elezioni americane, e intanto un anticipo lo daranno quelle francesi.
Le conseguenze sono su una scala non sensibile ai fatti e fatterelli d’Italia, ma ci riguardano. Quanto reggerà il nuovo quadro di stabilità a destra, una destra costituzionalizzata e occidentalizzata, che ha per segno il governo Meloni, la coalizione di centrodestra? Cominciano ad affiorare dubbi, e l’attivismo politico e propagandistico di Matteo Salvini, putiniano della prima ora, è una spia accesa su questa trasformazione politica del quadro generale. Meloni ci ha provato, l’abbraccio con Zelensky e il tenerume con Biden hanno generato la speranza di una destra normalizzata, riformatrice, capace di fare i conti con i mercati e mollare i toni populisti eccentrici rispetto ai doveri di una grande nazione europea occidentale, ora è il momento degli incubi.
D’altra parte nessuno ha promesso ad alcuno un giardino di rose, le energie e le idee sono quelle che sono, la puntata giusta della piccola fiammiferaia, della Ducia liberale, può rivelarsi fragile, e una svolta delle peggiori può essere dietro la porta.
Ha una qualche importanza tutto questo per la sinistra della foto Anpi, per gli sconfitti liberali del centro, per l’opinione ostile al governo Meloni, per il partito antisraeliano e filopalestinese? Forse no. Gramsci criticò il biennio rosso, prima dell’avvento di Mussolini, scrivendo che “fummo un elemento di dissoluzione della società italiana”. La situazione è totalmente altra rispetto a quell’epoca. Ma il problema di non farsi strumento della riorganizzazione mondiale del potere in senso autocratico dovrebbe essere, per non aggregare il carro dell’Italia alla catena del progetto, la prima preoccupazione dei cosiddetti progressisti.
I conservatori, anche quelli inglesi, persino quelli inglesi, hanno e mantengono una loro dignità, e Starmer, il nuovo premier laburista, li rispetta e lo dice apertamente contro tutte le scemenze dei Ken Loach e altri artistoidi “de sinistra”. Cercasi disperatamente una formula di battaglia da sinistra che sia alternanza o ricerca dell’alternanza senza lo spirito di dissoluzione che consegna ai putiniani d’Italia il malloppo della credibilità neopopulista e neoautoritaria.