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L'inchiesta

I governatori che stanno cambiando l'Italia. Ecco il partito della regione

Claudio Cerasa

C’è un’Italia pragmatica, trasversale, anti complottista, che ha surclassato il partito dei sindaci ed è diventata la lobby più influente del paese. Pnrr, alluvioni, vaccini. Indagine su un fronte largo che marcia compatto

E’ il partito della regione, bellezza. C’è stato un tempo in cui la spina dorsale dell’Italia, a livello politico, sembrava coincidere con la famosa Italia dei sindaci. Un’Italia, così si diceva, genuina, pragmatica, concreta, ambiziosa, in grado di indicare al paese, e anche al governo, la giusta strada da seguire a vari livelli: economico, governativo, istituzionale. C’è stato un tempo, ricorderete, in cui l’Italia dei sindaci era divenuta l’orizzonte ideale della nostra politica. Erano i tempi non solo di Matteo Renzi, l’ex sindaco d’Italia, caduto proprio per aver tentato di far assomigliare la Costituzione italiana all’Italia dei sindaci, ma anche di tutti gli ex primi cittadini di centrosinistra, da Francesco Rutelli a Walter Veltroni, riusciti nell’impresa di trasformare la propria esperienza alla guida di un comune in un trampolino di lancio utile a conquistare la ribalta nazionale. C’è stato un tempo in cui l’Italia dei sindaci faceva notizia. Un tempo in cui contava. In cui pesava. In cui quest’Italia faceva discutere.

Anni dopo, però, quell’Italia è stata sostituita in modo dirompente da un’altra Italia. Non alternativa ma complementare. Un’Italia divenuta, nel corso del tempo, il motorino del paese di oggi. Un’Italia, per capirci, dominata dalla lobby più gagliarda che c’è: quella formata dai governatori delle regioni italiane. Il partito della regione, bellezza. Sono stati loro, i governatori, tutti o quasi, durante la pandemia, a tenere dritta la barra del buon senso, sfidando anche i leader dei propri partiti quando si trattava di vaccinare i propri cittadini. Sono stati loro, durante la stagione del governo Draghi, a spingere i propri leader poco europeisti a fare un’immersione nell’europeismo draghiano. Sono stati loro, in questi mesi, ad aver chiesto trasversalmente al governo di non perdere tempo sul Pnrr. E sono stati ancora loro, in queste ore, ad aver fatto quadrato intorno all’attuale governatore dell’Emilia-Romagna, Stefano Bonaccini, per convincere il governo, e soprattutto Matteo Salvini, a non allontanare, dai palazzi del potere regionale, la cabina di regia della gestione dell’emergenza. Roberto Occhiuto, governatore di centrodestra, governatore della Calabria, due giorni fa ha affermato di “non vedere alcuna ragione per non dare quel ruolo a Stefano Bonaccini”. E Occhiuto lo ha detto sapendo che il fronte dei governatori, tranne rare eccezioni, sulle questioni cruciali, quelle che riguardano i temi su cui un paese moderno non può dividersi, marcia unito, compatto. Prendete Alberto Cirio, governatore del Piemonte, governatore di centrodestra, quando dice che “le regioni virtuose non possono attendere sui Fondi europei” e che “sul Pnrr bisogna correre”. Prendete Massimiliano Fedriga, governatore del Friuli Venezia Giulia, governatore di centrodestra, quando dice che “riscrivere il Pnrr è semplicemente, impossibile”. Prendete Giovanni Toti, governatore di centrodestra, governatore della Liguria, quando dice che il governo, sul Pnrr, dovrebbe seguire il modello Genova, accelerando l’implementazione dei progetti anche a costo di commissariare tutto. Prendete Francesco Rocca, governatore di centrodestra, governatore del Lazio, quando elogia il sindaco di Roma, sindaco del Pd, per aver avviato il percorso per la costruzione di un termovalorizzatore a Roma sapendo di parlare non solo a nome del partito che rappresenta ma anche a nome di tutti i governatori, o quasi, che ogni giorno sperimentano sulla propria pelle i danni che possono essere prodotti dall’ambientalismo ideologico (e quando diciamo “quasi”, naturalmente pensiamo a Michele Emiliano). Prendete, ancora, Luca Zaia, governatore di centrodestra, governatore del Veneto, quando dice di considerare prioritario per l’Italia occuparsi un po’ meno di chiacchiere sull’economia e un po’ più di manodopera che manca e di sostegno alle imprese che esportano, sapendo perfettamente di parlare non a nome della sua regione ma anche a nome di tutte le regioni italiane.

E se si vuole, prendete persino Vincenzo De Luca, governatore di centrosinistra, governatore della Campania, che quando dice che il grande problema che ha l’Italia nel mettere a terra i fondi, europei riguarda non tanto le regioni, che i soldi che ricevono di solito li spendono, ma i ministeri, la cui burocrazia asfissiante li porta a spendere dal 20 al 30 per cento dei fondi sa bene di parlare a un fronte più ampio rispetto alla singola regione che rappresenta (un fronte di governatori consapevoli anche di quanto una parte dei problemi legati all’implementazione del Pnrr dipenda anche dal fatto che a gestire una fetta rilevante di quei finanziamenti, un quinto, circa 40 miliardi, siano, neanche a dirlo proprio i comuni). E’ un’Italia pragmatica, trasversale, europeista, poco complottista, a parte qualche uscita maldestra sul volo dei pipistrelli da legare alla diffusione del Covid. Ed è un’Italia all’interno della quale si nascondono anche i contrappesi riformisti di alcuni partiti. La minoranza interna, nel Pd, quella desiderosa di non rimuovere con un’accetta tutto ciò che il Pd ha fatto in passato al governo, è una minoranza guidata da un governatore, come Stefano Bonaccini. La minoranza interna della Lega, che forse nel frattempo è diventata maggioranza silenziosa, è guidata da tre governatori, come Attilio Fontana, come Luca Zaia, come Massimiliano Fedriga, che negli ultimi anni hanno fatto molto per contenere gli istinti populisti di Salvini. E lo stesso motore politico di Forza Italia, in fondo, è legato ai voti raccolti alle politiche dal partito in una regione in particolare, quella guidata dal governatore Occhiuto, la Calabria, dove Forza Italia ha ottenuto il 16,08 per cento, doppiando la percentuale ottenuta a livello nazionale. Il partito della regione è forse la novità più interessante maturata negli ultimi anni nel mondo della politica. E’ un’Italia trasversale, pragmatica, tosta, persino allegra che salvo rare eccezioni è lì ogni giorno a mostrare al governo, e ai propri partiti di riferimento, una rotta mica male: come colmare, senza demagogia eccessiva, la distanza che esiste tra slogan e realtà. Ben scavato, vecchie talpe.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.