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La Russa unchained: media tra Meloni e il Cav. e sulle nomine fa asse con Letta e Giorgetti

Valerio Valentini

Il presidente del Senato che non è solo il presidente del Senato. Riceve ambasciatori, ma pure ministri scontenti sul governo. E' escluso dalle cerchia degli intimi della premier, ma le organizza incontri importanti (vedi: Bisignani). Una seconda carica dello stato un po' unconventional. E politicissima

Lui, confida sorridendo, si meraviglia di chi si meraviglia. “Perché lo avevo detto, in fondo”. Innegabile. Che  sarebbe stato un presidente del Senato un po’ unconventional, ecco, Ignazio La Russa lo aveva detto fin dall’inizio. E dunque ora con coerenza sta interpretando quella maschera che lui stesso, in una riscrittura tutta sua della sceneggiatura istituzionale, ha pensato e voluto per sé, a dispetto di chi, tra i rampolli rampanti del patriottismo meloniano, aveva espresso a Donna Giorgia i propri dubbi alla vigilia.  Politico, dunque. Politicissimo, anzi. E lo dimostra il suo attivismo cauto e ostentato al tempo stesso sulle nomine; e lo testimonia, perfino, il cambio degli assetti dentro Forza Italia. Su cui La Russa ha avuto il suo ruolo.

Più di un mese fa, quando andò a raccontare a Francesca Fagnani, su Rai 2, che “l’atteggiamento di Berlusconi nei confronti di Meloni sta cambiando”, in FI ci fu chi scosse il capo. Sapeva quel che diceva, La Russa. Che, del resto, si era reso protagonista di un estremo tentativo di mediazione con Arcore, quando ormai a Via della Scrofa davano per irrimediabilmente compromessi i rapporti tra il Cav. e la premier. “Fammi fare ancora un tentativo, Giorgia”. Di lì è nata una stagione della distensione che s’è concretizzata prima nel ritiro della costituzione di parte civile da parte di Palazzo Chigi nei processi in cui era coinvolto Berlusconi, e poi altro che si dovrà ancora disvelare, di più decisivo e  riservato.

E insomma è la riprova della bontà della tesi con cui Matteo Renzi, all’indomani dell’elezione rocambolesca con sfondamento a sinistra del notabile della Fiamma, invitava a cercare pure nei luoghi più impensati, per trovare i suoi elettori in incognito. “Perché tutto o quasi mi separa da La Russa sul piano culturale, ma non si può negare che sia  un animale politico”. E lui, dallo scranno più alto di Palazzo Madama, questa sua passione per la politica può esercitarla come da un piedistallo privilegiato: compiendo cioè scorribande nella polemica di giornata salvo poi subito invocare l’immunità presidenziale, l’extraterritorialità del suo ufficio. Lo stesso in cui, nel giro di una settimana, tra il 22 e il 27 marzo, ha ricevuto l’incaricato d’affari americano a Roma, Shawn Crowley, e l’ambasciatore tedesco Viktor Elbling. E lo stesso in cui, però, sfilano pure i ministri che vogliono esprimere qualche lagnanza, avanzare qualche obiezione all’operato del governo, ma non osano con lei, l’irascibile Giorgia. “Refugium peccatorum”, lo chiama lui quel suo dorato cantuccio al terzo piano di Palazzo Madama, lo stesso davanti al quale è stato avvistato, giovedì pomeriggio, Giancarlo Giorgetti, al termine del suo question time sul Mes. 

Coincidenze, forse, chissà. Di certo c’è che pure sulla partita più delicata del momento, e cioè quella delle nomine, La Russa dice la sua. Anche qui, in un tutt’altro che scontato equilibrio tra fedeltà alla linea e autonomia da padre nobile. Perché è vero che nel sancta sanctorum meloniano, quello più intimo e più prestigioso, La Russa non ha accesso. Non pienamente, almeno, ché i suoi rapporti con Francesco Lollobrigida, quando si parla di nomi e di partecipate, non sono sempre felicissimi. E però lì, stando sulla soglia, il presidente del Senato costruisce una sorta di truppa di riserva, di piano alternativo pronto a essere preso in considerazione non appena i progetti di Meloni e dei suoi iniziano a zoppicare. (In questo trovandosi davvero in sintonia con Giorgetti: pure lui tagliato fuori dalle riunioni di partito sulle nomine, pure lui costretto a saperle dai giornali, certe presunte trovate di Alberto Bagnai e Andrea Paganella, e però pure lui convinto che, al dunque, bisognerà passare dalle sue mani, dalla sua scrivania, per trovare l’intesa.) Del resto è stato lui, La Russa, a suggerire a Meloni di non ignorarli, i consigli di Gianni Letta, ché quando c’è da trattare, l’ex sottosegretario è certamente più affidabile, più attento alla grammatica istituzionale, di altri possibili mediatori azzurri. Pure Luigi Bisignani, a quanto pare, è da La Russa che ha ottenuto il lasciapassare per incontrare Meloni a Palazzo Chigi, ed essere riammesso al gioco grande.

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  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.