Per il governo Meloni è una questione di passo. Ma non è quello dell'oca

La distanza tra i passi da gigante di Meloni e il passo del gambero di molti suoi ministri induce a chiedersi quale sia il vero volto del governo. Perché questo duplice andamento mette a rischio la sua affidabilità

Quando si parla di Giorgia Meloni, l’opinione pubblica italiana, quella che non ama la presidente del Consiglio, tende a dedicare molta attenzione alla vicinanza dei membri del governo a un passo divenuto famoso nell’epoca fascista, il passo dell’oca, e tende di conseguenza a considerare la predisposizione al perseguimento di quel passo come il modo più corretto per inquadrare la natura di questo governo e come il modo più semplice per provare a rispondere alla così detta domanda delle domande: è o non è un governo fascista quello guidato da Giorgia Meloni?

 

Nella valutazione dei primi cinque mesi del governo più a destra della recente storia italiana, però, il tema del passo dell’oca, caso Anastasio a parte, si è rivelato in molte occasioni un tema infinitamente meno importante rispetto ad altri due passi che insieme potrebbero offrirci una chiave più originale per mettere a fuoco alcune problematiche reali che esistono all’interno di questo governo. Due passi che dovrebbero essere inquadrati e studiati e che riguardano due temi che ci dicono, sul governo Meloni, qualcosa di più interessante rispetto al tema fascismo o non fascismo.

  

I due passi in questione sono la combinazione tra i numerosi passi da gigante mossi dal presidente del Consiglio in questi mesi verso una strada caratterizzata da una sorprendente maturità politica, eccezion fatta per i temi legati all’immigrazione, e gli speculari passi del gambero mossi negli stessi mesi da una fetta consistente di ministri appartenenti a questo governo.

 

Una combinazione che, messa a fuoco, spiega l’effetto di straniamento offerto dal governo anche agli osservatori meno ideologici: un mix tra un apprezzamento di fronte ad alcune scelte del presidente del Consiglio e uno smarrimento di fronte alle disavventure in cui si sono imbattuti i ministri del suo stesso governo. Uno straniamento che è insieme la forza e la debolezza di Giorgia Meloni: permette alla leader del governo di essere percepita, anche dai suoi avversari, come una minaccia infinitamente inferiore rispetto a quella veicolata da alcuni suoi colleghi di governo (meno male che lei e non quell’altro), ma che in prospettiva potrebbe diventare per Meloni un problema non semplice da gestire, quando le gaffe quotidiane del governo diventeranno inevitabilmente un problema di affidabilità politica e quando la galassia delle ambiguità del centrodestra presenteranno il conto alla premier. E i casi di infortuni, nonostante la buona volontà di Meloni, iniziano a essere numerosi.

 

Sul caso rave party, il governo Meloni ha mostrato di avere una scarsa dimestichezza con lo stato di diritto. Sull’Ucraina, il governo Meloni ha mostrato di avere una premier osteggiata, nella sua azione, dalla sua stessa maggioranza. Sulla giustizia, il governo Meloni, almeno finora, ha mostrato di avere una propensione naturale più a creare polemiche inutili che a lavorare a riforme strategiche. Sul caso Cospito, il governo Meloni ha mostrato di essere disposto a violare le regole del galateo istituzionale per infangare gratuitamente l’opposizione.

 

Sul Reddito di cittadinanza, la maggioranza di governo ha mostrato di avere una notevole incompetenza nella scrittura delle leggi e per un errore tecnico, nella scorsa Finanziaria, sono state abrogate, a partire dal primo gennaio di quest’anno, “le norme sanzionatorie di corredo alla disciplina del Reddito di cittadinanza”. Sui dossier di politica industriale, il governo ha creato tensioni forti con il mondo diplomatico americano e non è un mistero che su alcuni dossier strategici per l’Italia, da Ita a Priolo, il governo abbia sistematicamente penalizzato gli investitori americani, e chissà cosa succederà ora con gli americani di Kkr. Sul tema delle relazioni internazionali, la presidente del Consiglio è stata costretta ad avallare l’intervento del capo dello stato per mettere una pezza nei rapporti con la Francia, dopo le scazzottate sulla Ocean Viking.

 

Sul tema dell’immigrazione, poi, Meloni è stata costretta a mettere in campo il proprio ministro più fidato, Francesco Lollobrigida, per mostrare un volto di governo più morbido, e più umano, rispetto a quello disumano messo in campo dal ministro Piantedosi. Sulla scuola, il ministro Valditara, spesso attaccato in modo strumentale dalle opposizioni, è stato costretto in un’occasione a chiedere scusa per una gaffe che ha messo in imbarazzo anche la premier, quando ha affermato che “l’umiliazione è un fattore fondamentale di crescita della personalità”.

 

Sui balneari, come se non bastasse, gli alleati di Meloni hanno fatto di tutto per mettere in difficoltà la presidente del Consiglio, non perdendo occasione per ricordare che se il centrodestra sarà davvero incoerente con le sue promesse, su questo tema, la responsabilità sarà solo e unicamente della premier, non dei suoi alleati.

 

La forza di Meloni, finora, è stata quella di aver confinato le gaffe del governo, Ucraina a parte, su temi non cruciali, sui quali non si gioca necessariamente l’affidabilità del paese, ma la distanza che esiste tra i passi da gigante di Meloni e il passo del gambero del governo induce a porsi una domanda elementare: ma il vero volto del governo è quello di Meloni o quello dei suoi ministri? E se anche Meloni lascia intendere a volte di vergognarsi del suo esecutivo, quanto ci vorrà prima che lo stesso sentimento attraversi con forza l’opinione pubblica italiana? Immaginare che le due velocità del governo possano produrre effetti immediati è da sprovveduti. Ma non capire che la doppia velocità del governo alla lunga può produrre effetti distruttivi significa non capire quanto è sottile il filo dell’affidabilità su cui si muove il governo Meloni e quanto sia pericolosamente esposto alla galassia delle ambiguità che prima o poi presenterà il conto anche al presidente del Consiglio. Non per il suo passo dell’oca, ma per il modo in cui il passo del gambero impedisce all’Italia di fare, come la premier, passi da gigante verso il futuro.

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