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romanzo funerario

Le esequie sterminate di Costanzo e le primarie Pd: la folla italiana si fa in due

Michele Masneri

L’Italia coi baffi del giornalista scomparso e quella multinazionale della nuova segretaria dem. In mezzo una pizza per Jill Biden

Al decimo messaggio d’amici perplessi (“ma tu che vivi a Roma mi spieghi cosa sta succedendo con questo funerale colossale?”) si ha un bel dire che i funerali sono da almeno vent’anni anzi proprio da vent’anni una sorta di specialità romana, di format d’eccellenza, si cominciò con Alberto Sordi (morto nel 2003 fa lo stesso giorno di Maurizio Costanzo) e poi si andò avanti, Carlo Vanzina, Gigi Proietti, Raffaella Carrà (tralasciando i Papi), riti sempre più sontuosi e partecipati, format sempre più lungo, unici riti a cui la città riserva  raccoglimento e organizzazione, riti in cui i vigili urbani hanno ruolo e dignità.

 

Del resto il karma  della città è da sempre mortifero (“il posto perfetto per capire se arriva la fine del mondo o no”, Gore Vidal; “il posto dove le rovine durano troppo a lungo”, Andy Warhol, ecc. ecc.), e però questo dilatarsi delle esequie di Maurizio Costanzo compresi selfie funebri come terribile nemesi della tv del dolore, e tra il jingle del Costanzo Show sparato all’esterno della chiesa con applauso e coda televisiva (Porro ormai specializzato in televeglie prolongées) stupisce. Vero che i funerali da sempre sono gli unici party a cui si può intervenire anche non invitati, e soprattutto luogo di networking in una città dove non ci si riesce mai a incontrare perché “piove”, “ce sta ‘o sciopero” e “ce sta ‘a Roma” ecc. Dunque tra i banchi listati a lutto finalmente si parla d’affari, di partecipate, di Rai.

 

Ma il giorno prima che nella Chiesa degli Artisti andasse in scena il telefunerale, altrove si votavano le primarie del Pd, e lì altri affollamenti, e colpiva il contrasto. Masse riflessive affollavano sezioni del vituperato Pd e bar e librerie. Io a Milano cercavo di votare ma non riuscivo, “esaurite le schede”, “non ci aspettavamo questa affluenza”, si faceva un giro, si tornava, e poi non si riusciva lo stesso perché residenti a Roma. Però tutta questa partecipazione non mortifera colpiva. E come sempre avviene per fatti che emozionano e che magari non c’entrano niente e ci si prova a trovarvi significati reconditi e correlazioni farlocche, ecco che questi due affollamenti, a Roma per Maurizio Costanzo e a Milano (diciamo Milano per dire resto d’Italia) per Elly Schlein mi sembravano due facce della stessa medaglia. Da una parte l’Italia vecchiotta, screanzatamente detta di boomer, che disperatamente celebra sé stessa, il passato, i favolosi anni Ottanta e Novanta, in cui si andava al mare a mangiare il fritto di pesce senza doversi preoccupare tanto della Bolkestein. C'è l’Italia Collofit, e poi qui ecco l’Italia nuova. Di questa cristiana non cristiana né madre, né etero, ce n’è abbastanza per far sussultare un paese normale, ma da noi? 

 


Nel paese abituato ai premier impomatati che battono i sagrati di Padre Pio e le lande promettendo “graduidamende”, parola che risuona amata mentre la  più temuta è “multinazionale”, a significar non più vongole su battigie ereditarie e tassinari espropriati? Un paese che affettuosamente si ritiene normale ma non lo è, dove l’orologio è fermo da tanto, e forse è anche questo che piace ai turisti, non cambiate mai, o italiani! (E tra i funerali e le primarie, se Biden non incontra Meloni, la first lady americana domenica sera faceva fermare l’aereo presidenziale a Napoli Capodichino per caricare delle pizze: che squisita immagine geopolitica, altro che Limes). L’Italia della pizza, l’Italia del presidente del Senato secondo cui la disgrazia del figlio gay in fondo è pari all’averlo tifoso di squadra avversa, e il paragone ci tranquillizza, poteva andar peggio, Italia in fondo non cattiva, solo balneare, Italia imbustata (coi busti di Lui) ma soprattutto vecchia, e stanca. Innamorata del passato, dei superbonus, delle pensioni (subito aggiornate all’inflazione! Che garanzia essere anziani, in Italia).

 

Invece dall’altra parte ecco che dalla bara del Pd esce qualcosa di nuovo, che forse sarà “sòla”, forse porterà a sfracelli o forse no, ma di sicuro atterrisce, spaventa (due Italie anche sovrapposte, perché poi pure “Maurizio” e “Maria” hanno contribuito non poco a svegliare il paese, moderni nel palinsesto ma più ancora nel ménage, e però astutamente sempre col medium del postino e del tronista, dunque la modernità depotenziata che passa da sotto la porta dello strapaese, con stacchetto di Bracardi). La papessa straniera fa invece paura, è Soros, è svizzera, è americana, non nata nella solita Roccacannuccia, e pure ebrea. Argh. Addio certezze e vongole. Meglio applaudire il feretro, gli anni belli passati, aspettando il prossimo funerale. E se va bene a voi, buona camicia a tutti. 

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  • Michele Masneri
  • Michele Masneri (1974) è nato a Brescia e vive prevalentemente a Roma. Scrive di cultura, design e altro sul Foglio. I suoi ultimi libri sono “Steve Jobs non abita più qui”, una raccolta di reportage dalla Silicon Valley e dalla California nell’èra Trump (Adelphi, 2020) e il saggio-biografia “Stile Alberto”, attorno alla figura di Alberto Arbasino, per Quodlibet (2021).