Social. Sud. Grillismo. Dietro all'avvicinamento di Giarrusso a Bonaccini c'è un piano

Valerio Valentini

Non solo un inciampo comunicativo. A Bruxelles, i luogotenenti del presidente emiliano lavorano da mesi per fare entrare l'ex Iena tra i dem. Alla base, l'idea che con lui si possa recuperare elettorato indignato, su Facebook e non solo. Le trame dei mesi scorsi. Le voci dei protagonisti

L’imputato alla sbarra la mette sul ridere. “Lo abbiamo fatto apposta, cosicché Matteo Renzi potesse attaccarci e i nostri avversari la smettessero di dirci che Stefano Bonaccini è un suo amico”. Insomma Andrea Rossi, nel cortile di Montecitorio, sceglie l’ironia, per cavarsi d’impaccio. E’ lui, quest’uomo sempre affabile alla seconda legislatura dopo dieci da sindaco nella sua Casalgrande, nel reggiano, il supremo organizzatore della campagna congressuale di Bonaccini. E anzi, per Bonaccini, Rossi è qualcosa di più. E’ l’uomo-macchina, come usa dire. E’, cioè, il referente romano, e non da oggi. E’ a lui – emiliano come “il Bonaccia”, e come lui juventino – che un po’ tutti quelli che vogliono sapere cosa pensa il presidente emiliano, o magari chiedergli udienza, si rivolgono. E si capisce che allora è con lui, più che con altri, che Bonaccini se la sia presa per il fattaccio di Dino Giarrusso. “Mi assumo le mie colpe”, sorride lui, aspirando il fumo di una sigaretta. “Sono inciampi che possono capitare”.

Perché per Rossi di questo si è trattato: una leggerezza di troppo nel revisionare una scaletta – quella degli interventi, tutti concordati, del Talent Garden milanese di fine settimana  – su cui proprio lui ha avuto l’ultima parola. “C’era una discussione che voleva essere innovativa e spigliata sui modi più efficaci di raccontare la politica”. E nella mente degli organizzatori dell’evento in sostegno di Bonaccini no, era anche Giarrusso uno di quelli invitato a parlare di come utilizzare i media per arrivare a un pubblico che di politica vuole sentirne parlare poco. Non a caso, nell’accreditarsi coi luogotenenti del presidente emiliano, aveva fatto valere i suoi 186 mila follower su Facebook, aveva citato le sue interazioni, aveva mostrato le sue dirette con caterve di like e commenti e visualizzazioni. Spettinare il Pd per non consegnarlo a chi voleva okkuparlo? Certo, anche messa così, non sembra granché confortante. E infatti i dirigenti dell’altra mozione, quella di Elly Schlein, se la ridono in Transatlantico: “Se Bonaccini farà gli organigrammi con la stessa accortezza con cui preparano le scalette, prendiamo i pop-corn”.

Ma il punto è che il pastrocchio comunicativo è forse il meno preoccupante. Perché dietro all’invito sul palco milanese c’è in verità un disegno più ampio, più strutturato, una trama che da mesi lega il Pd a Giarrusso. Almeno da quando, cioè, la mancata candidatura in Sicilia, che lui sperava di ricevere da Giuseppe Conte, lo ha portato in rotta col M5s. “Lui andrebbe fatto entrate nel nostro gruppo a Bruxelles”, diceva ai colleghi Brando Benifei, che guida la truppa europea del Pd. Nella quale, del resto, c’è gente come Paolo De Castro, già ministro nel governo D’Alema, da quindici anni all’europarlamento, che di Giarrusso dice: “Non posso che rilevare come con lui, in commissione Agricoltura, abbiamo sempre collaborato in modo proficuo”. E insomma si filava la lana da tempo. A dispetto della quantità di ingiurie che l’ex Iena ha riservato al Pd di ogni stagione; a dispetto dei suoi ammiccamenti alla Lega dell’estate scorsa, a dispetto della logica e del buonsenso. Stefano Graziano, uno che le meschinità della gogna manettara grillina le ha vissute in corpore vili, allarga le braccia: “Voglio sperare che sia stata sottovalutata la sua ricerca di visibilità”. Matteo Orfini: “Giarrusso col Pd non c’entra nulla, lo sa anche Bonaccini”. Lia Quartapelle: “E dire che una delle ragioni che mi hanno spinto a sostenere Stefano è l’assoluta fermezza nei rapporti col M5s”.

Ora, dicono, Giarrusso “si è messo a disposizione”. Sin da fine dicembre, almeno. Quando, un po’ a sorpresa, lo si vide comparire nella platea del teatro Vascello di Roma, mentre Bonaccini lanciava la sua corsa al nazareno in tandem con Pina Picierno. Eurodeputata anche lei, e non a caso. Del sud pure lei, e pure questo ha un valore, in questa storia. Perché, oltre a esibire i suoi follower, Giarrusso vantava, coi colleghi del Pd presso cui cercava credito, anche quelle 117.211 preferenze raccolte, tra Sicilia e Sardegna, alle Europee del 2019. E insomma era forte in quel meridione in cui Bonaccini, anche per via della questione dell’autonomia, temeva qualche smottamento. Era audace sui social. Offriva una passarella per portare nel Pd frotte di elettorato indignado, più o meno grillino. Ai luogotenenti di Bonaccini deve essere parso un buon affare. Prima che Giarrusso si mostrasse Giarrusso.

Di più su questi argomenti:
  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.