il caso

La retromarcia di Meloni sui balneari ha due ragioni: Pnrr in bilico e Corte di giustizia europea

I giudici di Lussemburgo, in primavera, potrebbero rendere ancora più esplosiva la questione

Valerio Valentini

Fitto striglia Salvini. Lega e Forza Italia ricordano ai meloniani di quando erano loro a ingiurarli sulla Bolkestein. La destra si spiaggia sulle concessioni: tutti contro tutti. Ma la Commissione europea è critica sul ddl Concorrenza, e in ballo ci sono i miliardi del Recovery

L’avvertimento, Raffaele Fitto lo aveva fatto risuonare giovedì scorso. Quando, a margine del Cdm, aveva chiamato intorno a sé un manipolo di colleghi, e li aveva messi in guardia: “Sui balneari non scherziamo, non abbiamo margini di manovra con l’Europa”. E siccome Matteo Salvini aveva sbuffato, il ministro meloniano aveva insistito: “Rischiamo di compromettere pure il Pnrr”. Miliardi che ballano, insomma. E poi c’è una sentenza del Consiglio di stato che, a dispetto della fumosa retorica sovranista, è inaggirabile. E ancor più dirompente sarà la sentenza – incombente – della Corte di giustizia europea. E insomma Giorgia Meloni credeva che l’avviso sarebbe bastato. Per cui, quando invece ha visto gli alleati di Lega e FI persistere nella polemica, è sbottata. Chi le sta accanto ora dice: “Evidentemente il senso di responsabilità dei partiti di governo è proporzionato ai voti”.

Va detto, se si guarda solo alle ragioni della dialettica politica, che tutti i torti, leghisti e berlusconiani, non li hanno, nel loro risentimento. E non solo perché l’emendamento incriminato al Milleproroghe, quello che ora il governo vuole accartocciare e riformulare, è stata proprio FdI, con la senatrice Lavinia Mennuni, ad affrettarsi a presentarlo, per intestarsi la paternità dell’iniziativa. C’è di più. C’è che non ha torto Maurizio Gasparri quando, parlando coi colleghi meloniani che lo esortano a una patriottica continenza (“A che serve continuare a fare dichiarazioni incendiarie? Per aizzarci contro le associazioni?”), ricorda quello che Meloni diceva, in campagna elettorale, a proposito dei balneari. “Noi difendiamo quelli che si alzano alle cinque del mattino, sperando in una bella giornata di sole. Noi difendiamo quelli che hanno i calli sulle mani e tengono pulite le nostre spiagge. Noi difendiamo questi eroici imprenditori da chi vuole renderli vittima di un esproprio di stato”: illa dixit. E non hanno torto, a loro modo, neppure quei leghisti, come Edoardo Rixi e Gian Marco Centinaio, che ora, a Fitto che li esorta a non fare “una gara a chi è più amico delle associazioni di categoria” e a trovare piuttosto “una soluzione praticabile”, ricordano “di quando al governo, con Draghi, c’eravamo noi, e voi di FdI speculavate sulla nostra pelle dall’opposizione dicendo che tradivamo i balneari”.

Solo che poi le ragioni della dialettica politica cedono il passo a quelle dell’Europa, e del diritto. E dei soldi, in definitiva. “E qui – dicono ora dalle parti della Meloni – rischiamo tutti di farci male”. Alla premier, Fitto il quadro lo ha tracciato con chiarezza. E’ vero che la liberalizzazione delle concessioni balneari, di per sé, non è un obiettivo esplicito del Pnrr. Ma quella riforma è contenuta in un ddl, quello sulla Concorrenza, che è  tuttora sotto osservazione della Commissione. I funzionari di Bruxelles stanno infatti valutando l’effettivo conseguimento dei milestone del secondo semestre del 2022: e nell’analisi dei 55 obiettivi, proprio il corposo pacchetto del Concorrenza, con tutti i suoi decreti attuativi, è oggetto di obiezioni e richieste di chiarimento. Palazzo Chigi sta fornendo le risposte che la Commissione chiede, finora, seppure con un certo affanno: “Ora, è chiaro che se noi ci mettiamo a smontare, sia pure su un aspetto marginale ai fini del Pnrr, una riforma che a Bruxelles sta ricevendo molte notazioni critiche, ci inimichiamo i nostri giudici”, è il senso del ragionamento offerto alla premier dal ministro Fitto. Tanto più che sui balneari l’Italia è sotto procedura d’infrazione da anni, da parte dell’Ue.

Ma non basta. Perché la contingenza è così sciagurata, per il governo, che tutte le furbizie a cui ci si era aggrappati per rimandare la decisione si stanno rivoltando contro all’esecutivo. E così la decisione del Tar di Lecce, che a maggio scorso, nel dirimere sul ricorso da parte dell’Antitrust contro i titolari di quattordici lidi salentini aveva rinviato il giudizio alla Corte di giustizia europea, quella decisione che aveva fatto esultare il sindacato nazionale dei balneari, ora diventa uno spauracchio clamoroso. Perché la sentenza della Corte di Lussemburgo è attesa per aprile o maggio. E avrà come effetto – ha spiegato Fitto ai colleghi di maggioranza durante un vertice a Palazzo Chigi, ieri pomeriggio – quello di rendere effettivo l’applicazione della direttiva Bolkestein, incidendo anche sui criteri di messa a gara. Rendendo, insomma, inammissibili perfino quelle tutele che il governo Draghi aveva previsto per offrire degli indennizzi e una corsia preferenziale ai gestori uscenti. “Liberalizzazione selvaggia”, direbbe Meloni. Dunque non solo bisogna intervenire prima di dicembre 2023, termine stabilito dal Consiglio di stato per la validità delle concessioni. Ma anche prima della primavera, per evitare di produrre danni ancora maggiori. “Per cui – dice ora Giovanni Donzelli, patriota di prima fila, ai colleghi di centrodestra – se per una volta, anziché fare un frontale con l’Europa e col Consiglio di stato, provassimo a trovare una soluzione definitiva per il problema dei balneari, non sarebbe male”. Solo che di soluzioni brillanti, oltre a proseguire sulla via tracciata – peraltro con una certa timidezza – da Draghi, non ce ne sono. E infatti dalla riunione di ieri è emersa l’idea di prorogare la delega che spetta al governo – e che scadrebbe il 27 febbraio – per avviare le procedura di gara: in sostanza, fare la stessa cosa che dicevano di fare “quelli che volevano espropriare i nostri eroici imprenditori coi calli sulle mani”, ma con un paio di mesi di più. Sperando che questo non indisponga Bruxelles. 
 

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  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.