(foto Ansa)

il segreto dei nostri miracoli

Quello che Bankitalia non dice sull'economia italiana

Giuliano Ferrara

Via Nazionale sulla manovra ha ragione, ma tenga conto delle tante economie e della stabilità, pur vongolistica e ineguale, del paese in cui viviamo

Due affermazioni. Uno. I rilievi di Bankitalia alla manovra di Meloni sono pertinenti e giusti. Due. I rilievi di Bankitalia alla manovra di Meloni non tengono conto delle sfumature di sistema che da sempre consentono all’economia italiana di superare in modo sorprendente le sue difficoltà e i suoi vizi strutturali. Quale delle due è affermazione vera. Direi entrambe. E cerco di spiegarmi balbettando rapidamente il poco che si capisce di questo paese.

Le tasse bisogna pagarle. Ne va dell’ordine sociale, dell’equità, del benessere collettivo. Il nero manda in bianco chi le paga, aggira la norma e apre spazio alle peggio cose, e la disponibilità di contante non tracciabile gli apre in molti casi la strada. Però non è necessario essere tra gli analisti migliori del Censis per capire che la funzione del piccolo, dell’interstiziale, dell’arrangiamento familista più o meno amorale sono fenomeni storici e antropologici che ci rendono tipici: da un lato sono cose da paese alle vongole, dall’altro sono segreti di fortuna, modi di essere che non portano soltanto a tecniche di sopravvivenza, spingono bensì a originali modalità di sviluppo. La forza del risparmio e della patrimonializzazione privata nell’immobiliare e in altri settori quanto è dovuta all’evasione fiscale, grande e piccola? E quanto ha contato e conta nella resistenza dell’economia italiana agli assalti della competizione modernizzante internazionale e globale?  Non abbiamo l’elettronica su larga scala, e l’Olivetti fu una pionieristica occasione perduta nel mercato decisivo dell’innovazione; non abbiamo più la chimica, che prometteva bene ed è stata liquidata come grande conglomerata; troppe famiglie al controllo delle società, si dice, e imprese troppo piccole: eppure ora si scopre che una ripresa notevolissima è possibile proprio grazie alle filiere corte e alla dimensione flessibile di un settore manifatturiero da esportazione che sa fare il suo mestiere e rinnovarsi nelle peggiori condizioni di crisi, con slancio schumpeteriano di distruzione e creazione.

 

Potrei fare molti esempi. Il business artigiano è soggetto a complicazioni e fardelli di controllo burocratico, il lavoretto in nero laterale, a integrare il reddito di un artigiano in pensione a 1000 euro al mese, è insieme una violazione di legge, un’abitudine sciatta per operatore e cliente, infine una compensazione e una risorsa per la circolazione della ricchezza sociale e dei consumi. I servizi privati e pubblici a Milano, come a Düsseldorf o a Francoforte, sono una cosa; a Cosenza e a Siracusa o a Foggia, ma anche a Roma, sono un’altra cosa, ma sono servizi dentro un sistema di convenienze determinato dalla struttura sociale e dalla formazione storica che è il Meridione italiano.

Non tutto è standard unico, non tutto è paradigma onnicomprensivo, la carta geografica conta come contano i percorsi di formazione dello stato, il ruolo della famiglia, e la norma scompare come rigidità osservante e ricompare come norma flessibile, adattamento miscredente, scettico, cinico, ma adattamento. Non faccio l’elogio dell’arte di arrangiarsi, ma aspetto sempre che economisti e funzionari tutti d’un pezzo mi spieghino come si può, non già favorire una convergenza verso pratiche moderne e eque sempre migliori e sempre più utili al bene collettivo, ma equiparare e omologare ciò che non è omologabile. Magari imponendo le stesse regole al lavoro dipendente e a quello autonomo, per esempio (altro capitolo delle critiche di Bankitalia), quando il quadro delle garanzie e il contesto di esercizio è tanto diverso. Mi spiace constatarlo, ma ho l’impressione che il segreto dei nostri miracoli, quando si producono, stia nella compresenza di diverse economie in una, e nell’instabile, precaria, vongolistica, ineguale stabilità dell’Italia che non vorremmo esistesse, ma esiste eccome.

  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.