La via di Meloni per semplificare il Pnrr si fa complicata
I ministri tardano a dare risposte a Palazzo Chigi. Il Mef è impelagato sulla legge di Bilancio. I sindaci rinnovano le loro richieste e battono cassa. Fitto ha un piano per velocizzare i progetti, ma attuarlo è complicato. Il rebus della governance e dei fondi europei. E a Roma arrivano gli ispettori della Commissione per vigilare sulle scadenze
Che semplificare sia una cosa difficile, Raffaele Fitto lo ha capito a furia di sfogliare il calendario. Ai ministri aveva chiesto, un mese fa, una prima ricognizione sullo stato dell’arte della spesa dei fondi europei entro il 21 novembre. Tre giorni dopo la scadenza, ha dovuto sollecitare risposte non pervenute. Venerdì, invece, aveva fissato il termine per l’invio di richieste di interventi di semplificazione normativa per l’attuazione del Pnrr. E siccome tra i ritardatari c’era perfino quel Mef a cui la cabina di regia del Pnrr stesso fa capo, da Palazzo Chigi hanno alzato di nuovo il telefono. Per sentirsi rispondere: “Qui siamo impelagati con la legge di Bilancio”. Il tutto, mentre i funzionari di Bruxelles erano già a Roma per verificare l’avanzamento dei lavori sul Recovery.
Fitto, massimo responsabile governativo del Pnrr, sperava di potere offrire un quadro chiaro di come il governo voglia “agevolare l’approvazione di progetti contenuti nel Piano, a partire da quelli in scadenza per fine dicembre, superando specifici problemi di carattere normativo”. Semplificare, appunto. Questo è l’obiettivo che, secondo le bozze dei dispacci circolate nei giorni scorsi a Palazzo Chigi, anche Giorgia Meloni vuole conseguire. Con uno strano effetto di déjà vu, peraltro, per chi, come Giancarlo Giorgetti, era già ministro ad agosto quando il sottosegretario Garofoli, responsabile del Pnrr nell’esecutivo di Draghi, aveva avanzato ai capi di gabinetto dei vari dicasteri la stessa richiesta rinnovata ora da Fitto: “Vi servono degli interventi ad hoc per accelerare sul Pnrr?”. E così, di semplificazione in semplificazione, tutto si complica.
I sindaci, attraverso la segreteria generale dell’Anci, sono stati i più solerti a far arrivare a Palazzo Chigi un elenco di richieste dettagliato. Una norma che renda certi, e più brevi, i tempi sull’assegnazione delle gare e l’apertura dei cantieri, rafforzando la procedura del silenzio assenso e riducendo i termini entro cui soprintendenze e mandarinati locali vari devono concedere le autorizzazioni del caso. E nella stessa direzione vanno anche le istanze di applicare deroghe sul Codice dei contratti pubblici e sull’assunzione di personale per incarichi di Rup. Ma siccome oltre al problema dei tempi c’è quello dell’aumento dei costi a gravare sulla ormai famigerata “messa a terra” dei progetti del Pnrr, l’Anci ha chiesto al governo di confermare la procedura semplificata per cui siano gli stessi comuni, in qualità di enti attuatori, ad applicare una percentuale aggiuntiva sulle gare d’appalto: ma per rifinanziare quella cassa, i soldi deve trovarli il governo, e si tratta di centinaia di milioni.
Per Fitto, poi, bisogna mettere mano alla struttura di governance del Pnrr. Draghi l’ha creata in modo da renderla refrattaria ai cambi di maggioranza e di governo fino al 2026, per evitare che le logiche di spoils system ne intacchino l’efficacia. “Però noi abbiamo un problema strutturale nella governance”, ha spiegato il ministro degli Affari europei ai suoi colleghi di governo, evidenziando un “segnale allarmante” nel fatto che “le unità di missione per il Pnrr nei vari ministeri sono composte da funzionari a tempo determinato, che avendo anche altre mansioni vanno e vengono in continuazione. E questo ricambio non è utile e non dà stabilità alla governance”. Si potrebbe semplicemente stabilizzare quelle professionalità, come si era iniziato a fare proprio al tramonto del governo Draghi. Ma su tutto ciò che riguarda la governance Fitto sa di dover procedere con grande cautela: perché su quel fronte sono sensibili – e sono avvertite d’altronde anche al Quirinale – le pulsioni leghiste di optare per un ricambio generale della cabina di regia, che azzeri di fatto l’organismo di controllo e monitoraggio attuale del Pnrr.
Anche di questo, evidentemente, Fitto e Meloni dovranno discutere con la squadra di ispettori inviati da Bruxelles, e guidati da cinque funzionari vicini a Ursula von der Leyen, che da ieri – con un colloquio avuto col ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto, esito positivo – hanno avviato la loro periodica supervisione in loco sull’attuazione dei piani nazionali del Next Generation Eu. La premier e il suo fedele ambasciatore europeo hanno dettato la linea ai ministri: “Per evitare che vengano attribuiti a noi ritardi sul Pnrr accumulati da chi ci ha preceduti, con la Commissione bisognerà entrare nel merito dei singoli progetti e capire se e come modificarli”. Le ragioni da addurre sono quelle note: l’inflazione, la crisi energetica, un quadro economico e diplomatico profondamente mutato negli ultimi mesi. Ma Fitto vorrebbe fare di più: ridefinire in modo sostanziale alcune delle missioni del Pnrr per integrarle col resto della programmazione europea. “Perché non è possibile – ha spiegato in una recente riunione a Palazzo Chigi – che la mano destra non sappia cosa fa la sinistra, o che addirittura l’una vada a disfare quello che l’altra tenta di realizzare. I miliardi del Recovery vanno coordinati con quelli del Fondo di sviluppo e coesione”. Tutto giusto, in teoria. Ma bisogna prima convincere la Commissione che questa ambiziosa operazione di armonizzazione non comprometta gli obiettivi fondanti del Pnrr, e non ne rallenti l’attuazione. Perché, lo sanno anche a Bruxelles, spesso incaponirsi nella semplificazione finisce col rendere tutto più complicato.
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