Franceschini, ancora tu. L'ex ministro è presidente della Giunta per le autorizzazioni. E medita sul futuro del Pd

Valerio Valentini

Aveva lasciato intendere di volersi defilare. Ma intanto, ha ottenuto la prima delle postazioni privilegiate riservate alle opposizioni. La benedizione di Schlein e una corrente che fa fatica a restare unica: il senso delle mosse dell'eterno ago della bilancia del centrosinistra

Fedeli alla sua teoria, quella secondo cui la politica è un instancabile susseguirsi di "dare e prendere fregature" (il motto originale è un po' più colorito, ma vabbè), ci si aspettava che stavolta, e per un po', gli sarebbe toccato incassare. Perché il suo Pd ha perso le elezioni, perché il partito è uno stato comatoso, balbettante in Parlamento e inerte nella definizione di candidature per le regionali, nel bel mezzo di un congresso che pare inerminabile, perché in fondo lui aveva già dato, e avuto, molto. E invece anche stavolta Dario Franceschini ha saputo spuntarla. A modo suo. Parlando poco, quasi nulla, agendo con discrezione letale. La presidenza della Giunta per le elezioni e le autorizzazioni a procedere del Senato è sua. Lui che pure, lì a Palazzo Madama, è al debutto, dopo cinque legislature vissute tutte da deputato.

La votazione di questo pomeriggio si è svolta secondo copione. Ha tenuto l'accordo in seno alle opposizioni, cui spetta per antica e codificata consuetudine quella postazione. Ha retto l'intesa cordiale costruita con la maggioranza di centrodestra. Nessun voto è mancato: tranne una scheda che proprio lui, il neo presidente, da uomo di mondo, ha lasciato bianca. Per galanteria. Perché così si fa, quando si è sicuri di vincere. Delle due vicepresidenze, una è andata al renziano Ivan Scalfarotto, l'altra al leghista Manfredi Potenti. Il M5s ottiene invece un posto da segretaria per Concetta Damante.

E così Franceschini, già segretario del Pd, tre volte ministro della Cultura, una volta ministro per i Rapporti col Parlamento, una volta sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, eterno ago della bilancia degli equilibri interni al centrosinistra, pendolo dalle cui oscillazioni dipendono quasi sempre le sorti del congresso, se da un lato si sbilancia a benedire Elly Schlein nel nome di un necessario ricambio generazionale ai vertici del Nazareno, dall'altro si accaparra, non senza merito, la più sicura delle postazioni parlamentari riservata alle opposizioni. Perché sulla Vigilanza Rai ci sono le rivendicazioni del M5s; per il Copasir - rispetto al quale ancora si attenda la designazione del membro della Camera da parte dei grillini - ci sarà da tenere a bada le rimostranze contiane e i tentativi di imboscata da parte di Renzi. La Giunta per le autorizzazioni, invece, è un fortino.

E solo apparentemente laterale. E' di lì che infatti passano spesso ricorsi e contestazioni per l'assegnazione dei seggi, decadenze e ripescaggi che, specie al Senato, specie con un Senato ridotto a 200 membri, possono far traballare o stabilzzare le maggioranze. E di lì passano pure le richieste da parte delle procure per proseguire nelle indagini sui parlamentari, o magari a usare le intercettazioni del caso, con voti che spesso esulano dalle questioni procedurali e diventano politicissime. Se lo ricorda Maurizio Gasparri, predecessore di Franceschini, che nella scorsa legislatura da quella poltrona ha dovuto gestire, tra gli altri, i casi Diciotti e Open Arms, con relative baruffe tra M5s e Lega, per non dire del caso Open che ha coinvolto Renzi.

Quanto a Franceschini, tra i suoi amici si dice che lui quel posto l'abbia ottenuto più che altro come buen retiro. Perché un po' l'età, un po' la convinzione che la "mia generazione ha dato", e poi forse qualche acciacco di salute, insomma avrebbe voglia di sfilarsi dall'agone, giocare il ruolo del padre nobile, anche con vista quirinalizia, chissà. Di certo, mentre imperversava la baruffa precongressuale nel Pd, l'ex ministro della Cultura prima s'è rigfugiato in Sardegna con la famiglia, poi s'è concesso una visita a Parigi, nello scorso fine settimana, con visite al Marais e al Museo di Picasso.

Nel mezzo, però, ha indicato la strada ai suoi. E così giovedì, dopo essersi fatto vedere in Transtlantico -una chiacchiera con Orlando, una con Guerini, una con Provenzano, insomma da consumato tessitore qual è - poi ha riunito i principali esponente della sua corrente, AreaDem, e ha spiegato le ragioni per cui occorrerebbe, a suo avviso, sostenere Elly Schlein. Dissapori emiliani verso Stefano Bonaccini, c'è chi ha ipotizzato. Convinzione che solo da una svolta identiraria il Pd possa recuperare spazio e visione, arginando il M5s, dicono altri. Sta di fatto che l'appoggio di Franceschini a colei che lanciò Occupy Pdnel 2013, quando Franceschini era già ministro, ha disorientato non pochi, tra i suoi seguaci.E infatti c'è stato anche chi, come Luigi Zanda o Roberta Pinotti, nelle stesse ore è andato suggerendo altre soluzioni: perorando, ad esempio, la causa di Letizia Moratti in Lombardia. Tutti interrogandosi, comunque, su chi sarà, a marzo, alla fine del congresso del Pd, a dare o a prendere fregature. 

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  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.