La rete dei grand commis

Meloni di Rivera. Dal Tesoro alle Entrare. Le quattro caselle del potere che il governo può (forse) sostituire

Carmelo Caruso

Quattro direzioni valgono più di quattro ministeri. Giorgetti, Meloni, Leo ragionano se sostituire una catena di comando ritenuta di sinistra o se mantenerla perché "competente"

Sono quattro caselle, quattro direzioni, e valgono più di quattro ministeri con portafoglio. Il potere, se esiste, lo trovate qui. Sono Tesoro, Entrate, Demanio, Dogane. Il governo Meloni proverà a cambiare i loro vertici. Ritiene suo diritto farlo. Che ci riesca è da vedere. Che lo voglia davvero, è da dimostrare. Da queste quattro direzioni partono fili che arrivano fino al Quirinale, incrociano Mario Draghi, coinvolgono Bankitalia, si annodano con il cuore del credito internazionale. Esiste una sola scuola, a destra, capace di esprimere direttori di livello. E’ la scuola di Giulio Tremonti. Per individuare i sostituti, il ministro dell’Economia, Giorgetti, e il suo vice, Leo, devono tornare all’antica  tradizione. La prima casella è quella di Alessandro Rivera, direttore generale del Tesoro. E’ una figura che per chi ha lavorato con Draghi è “insostituibile”. Un nome tuttavia c’è. E’ Antonino Turicchi.


Il 2 novembre, Giorgetti, è volato a Berlino, per parlare con il suo omologo tedesco Lindner. Ad accompagnarlo c’era Alessandro Rivera. E’ al Mef dal 2000. Tutti i dossier economici G7 e G20 passano dai  suoi occhiali. E’ brizzolato. Occupa il ruolo da direttore generale del Tesoro dal 2018. E’ sicuramente stimato da Draghi e si può scrivere senza essere smentiti. Sarebbe poco amato dal nuovo governo. Questo è confutabile. Giorgetti sulla sua eventuale rimozione, di cui si è scritto in questi giorni, non si è mai espresso. Ha 90 giorni per decidere. Al Foglio, Carlo Messina, ceo di Banca Intesa, ha dichiarato che “Rivera è una delle persone più competenti  del Mef. Perderlo sarebbe un peccato”. E’ la prova che c’è un mondo importante che “tifa” Rivera, direttore tenace. In questo caso il tenace sta per uomo che si batte. La tenacia va sempre lodata. Rivera ne sta mettendo tanta.

 

Dicono che Rivera abbia simpatie di sinistra. Suggerisce una importante fonte del precedente governo: “Io mi farei questa domanda: Rivera è bravo? Si o no?”. E lo è? “Lo è”. Perché sarebbe inviso alla destra? “Per la gestione Ita e Mps”. La destra ha sostituti? “Pochissimi. C’è un grande argomento di cui nessuno parla. Riguarda le altissime competenze. Bankitalia, da vent’anni, svolge ormai un ruolo di vigilanza, mancano quelle figure che facevano politica monetaria. Oggi ‘assemblare’ un nuovo direttore generale del Tesoro è difficile. Se Rivera venisse rimosso trovare un sostituto è complesso”.

 

Tra quei pochissimi nomi, Turicchi è il primo. Dal 2002 al 2009 ha ricoperto l’incarico di direttore generale di Cdp. Successivamente è stato direttore generale per Finanza e Privatizzazioni Mef. Fa parte di quella che abbiamo definito “scuola” Tremonti a conferma di quanto  si ripete in Parlamento: “C’è un po’ di Tremonti ovunque”. Tremonti non si permetterebbe mai di dare giudizi su Rivera ma non potrà mai dichiarare che Rivera sia per lui il miglior direttore possibile. Tremonti è stato finora sottovalutato. Non ha solo capi di gabinetto in ogni ministero a partire da Gaetano Caputi, che lo è della Meloni. Il pensiero del governo è pensiero Tremonti e il pensiero riporta sulla scena gli uomini che seguivano quella linea di pensiero. Turicchi è uno. Il suo nome si era già fatto come possibile sostituto di Domenico Arcuri in Invitalia. Conosce inoltre, e bene, il dossier Mps. E’ stato vicedirettore del Cda Mps. Un altro nome che è circolato, al posto di Rivera, per statura, è quello di Alessandra Perrazzelli, vice direttrice generale di Bankitalia. Sono tutte decisioni che competono a Giorgetti, ma le nomine delle quattro caselle dovranno essere mediate con Leo. E’ il viceministro di FdI. Si è scelto come capo di gabinetto Italo Volpe, un altro allievo di Vincenzo Fortunato, lo storico capo di gabinetto di Tremonti. Al momento Leo, al ministero, occupa la stanza che era di Giuseppe Vegas, oggi presidente Consob. Sarebbe  intenzione di Leo trasferirsi negli uffici del Mef di Piazza Mastai. In quello stesso edificio c’è la seconda casella, la più facile, sulla carta, da far saltare. E’ quella  di Marcello Minenna, direttore dell’Agenzia delle dogane e già assessore al Bilancio di Virginia Raggi. Ha una passione per il culturismo e per le eccentricità. Quando ha intuito che cambiava l’aria aveva già provveduto a telefonare al nuovo potere. Non c’è nulla di male. Si chiama saper vivere.

 

Per il suo posto è in corsa Benedetto Mineo, chiamato da Giorgetti al Mise come segretario generale e apprezzato da Leo. Mineo era già stato direttore alle Dogane. L’altra direzione, la terza casella, è quella di Alessandra Dal Verme, direttrice del Demanio e cognata di Paolo Gentiloni. Viene dal Mef, lavorava alla Ragioneria,  dove difficilmente tornerà. Si parla di incomprensioni con Biagio Mazzotta, il ragioniere dello Stato che nessun governo può  mettere in discussione. Significa che Dal Verme resterà. La quarta casella infine. E’ quella della Agenzie delle Entrate. Il direttore è Ernesto Maria Ruffini, nipote del cardinale Ruffini di Palermo, figlio di Attilio, ministro Dc. Era la Palermo di Sergio Mattarella. Il suo caso è diverso. Leo si sta già avvalendo del sapere di Ruffini e Meloni non avrebbe motivo per privarsene. E’ Ruffini che per paradosso può chiedere “resto a condizione che…”. Chi è libero ha sempre potere negoziale. Due possono essere a quel punto i nomi. Attilio Befera, che quel ruolo lo ha rivestito, e Paolo Savini, numero due di Ruffini. Quattro caselle, quattro teste. Se saltano è la dimostrazione che la destra ha preso il potere. Se restano è la conferma che il potere può farsi ambidestro.
 

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  • Carmelo Caruso, giornalista a Palermo, Milano, Roma. Ha iniziato a La Repubblica. Oggi lavora al Foglio